C'è un'aria - Giorgio Gaber

Giorgio Gaber è un artista assolutamente unico nel panorama dello spettacolo italiano: da qualunque parte lo si racconti si rischia di essere riduttivi.
Importatore del rock americano in Italia (suoi compagni rivoluzionari Celentano, Jannacci e Tenco), proprio come loro, ben presto continuò la sua carriera nel solco della più classica tradizione della canzone italiana (ognuno attraverso la loro particolare sensibilità ed ognuno attraverso la propria storia personale, per Luigi Tenco stroncata in modo tragico).
Per Gaber, la svolta artistica dal tran tran discografico, avviene a ridosso del grande movimento sociale e culturale del '68, un vero spartiacque per un mondo artistico in crisi di identità; per sua stessa ammissione uomo di sinistra con una punta di anarchismo, il cantante milanese inventa quello che poi diventerà negli anni, "il teatro canzone", vere e proprie produzioni teatrali, nelle quali, in una miscela di monologhi e canzoni inedite, si osservava la società, in tutti i suoi aspetti, in maniera originale e provocatoria, e soprattutto non scontata nella sintesi finale.
Sarebbe però un errore dare tutto il merito della riuscita di questi avvenimenti teatrali, che si protrassero per trent'anni, attraversando le diverse trasformazioni della società italiana, solo a Gaber; infatti la gran parte dei testi è opera di Sandro Luporini, 1930, toscano, oltre che autore di testi, pittore e pure lui uomo di sinistra ed anarchico d'animo.
Negli anni i loro spettacoli fecero arrabbiare ed esaltare tutte le componenti culturali del Bel Paese: i due artisti non avevano né remore, né confini ideologici nei loro pungenti ritratti di varia umanità.

"Prendiamo, per esempio, argomenti come il giornalismo o la libertà di stampa. Con tutta la pazienza e la saggezza che avrebbe dovuto regalarci un'età ormai matura, non ce la facevamo proprio ad ascoltare certi discorsi sull' "importanza fondamentale che viene ad una democrazia dalla libertà di stampa", o meglio ancora, sul "contributo vitale che il giornalismo è capace di fornire nella costituzione delle coscienze civiche dei giovani". Mi chiedo a quale giornalismo pensassero i signori che facevano questi discorsi, a forza di sentire queste parole nauseanti, mille volte ripetute, che ormai non valevano più niente e che riuscivano solo a legittimare quella specie di pornografia dell'informazione che caratterizza i nostri giorni, io e Giorgio sentimmo un grande disgusto. Ed è proprio di questo disgusto che parla la canzone C'è un'aria".
Così parla Luporini, in un brano del bel libro "G. Vi racconto Gaber" (Mondadori, 2013).
Erano i primissimi anni '90, e queste considerazioni, alla luce di quello che abbiamo vissuto anche in questi ultimi anni, sono decisamente profetiche.

Sorprendentemente di "pornografia" nell'intreccio di informazione e vita quotidiana, ha parlato recentemente l'arcivescovo di Bologna card. Matteo Zuppi, raccontando la crisi generata dalla pandemia Covid:
"La pornografia della vita considera la malattia una colpa, perché la vita deve avere un certo standard. Abbiamo invece scoperto che ci hanno tolto tutto: la vita è un'altra cosa che in questi mesi abbiamo imparato faticosamente, entrando nella storia, con grande realismo e non nel soggettivismo, nelle apparenze o in un mondo che non esisteva.
Il mondo ci è entrato in casa, senza chiedere permesso, ci ha cambiato la vita senza riguardi.
È stata una grande umiliazione che, però, ci porti a diventare umili, che è un'altra cosa"


Così, come la realtà standardizzata delle comode apparenze, così l'informazione conformista ci invade le case e le nostre vite: "Lasciateci aprire le finestre, lasciateci alle cose veramente nostre e fateci pregustare l'insolita letizia di stare per almeno dieci anni senza una notizia
C'è un'aria, c'è un'aria che manca l'aria"
... aprite le finestre!


(grazie a Stefano per il suggerimento)



 

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