Scacchi e tarocchi - Francesco De Gregori

"Terrorista non si diventa per caso, ci devi mettere del tuo, ci arrivi passaggio dopo passaggio, non in una botta sola.
Ti senti come in una toboga, in uno scivolo dettato dalla storia: la Resistenza, l'Ottobre Russo, la Rivoluzione Francese: vivi un tempo mitico, e pensi, stavolta tocca a noi.(...) 
Quel marzo '77, a Bologna, fu il momento in cui sparare tutte le nostre munizioni.
Teorizzavamo da anni la presenza delle armi nelle organizzazioni di massa, avevamo già alcune decine di pistole, qualche mitra, le reperimmo in giro o rapinammo delle armerie. (...)
C'era la convinzione che i fascisti non fossero appartenenti al genere umano, che non fosse reato ucciderli.
Come nei genocidi.
Allo stesso modo ci sembrava intollerabile che dei cattolici avessero la pretesa di dire la loro, in università, sugli stessi temi su cui eravamo impegnati noi (...) non si spiega altrimenti quell'odio viscerale verso persone che ricordo civili e gentili, dedite a opere buone, alloggi, libri, gruppi di studio.
Il Pci nel '77 ci definiva squadristi ma era un modo per respingere il legame oggettivo e soggettivo che avevano con noi.
Poi dopo il 'sorpasso' della Dc, il Pci sposò la linea del rigore e non le riforme.
Ci sentimmo traditi, ci convincemmo che l'unico sbocco era la lotta armata.
Ancora oggi mi chiedo come possiamo essere stati tanto ciechi: il bene tutto da una parte, mentre i fatti dicevano il contrario; fra noi non c'era niente di pace, tolleranza e cultura di cui parlavamo."

Il 10 Aprile 2012, il quotidiano 'Avvenire' pubblica un'intervista (della quale avete ora letto uno stralcio) a Maurice Bignami, in cui si ripercorrono i moti violenti dell'11 marzo '77, nel bel mezzo degli anni di piombo, che misero a ferro e fuoco Bologna, nel tentativo di interrompere un'assemblea dei cattolici di Comunione e Liberazione, che culminò con gli scontri di piazza e la morte di Francesco Lorusso, giovane militante di Lotta Continua.
La reazione degli extra parlamentari divampò in tutta Italia, con altre devastazioni e altre morti.

Maurice Bignami, classe 1951, dopo essersi laureato in Lettere alla Sapienza di Roma, dopo avere militato nella Federazione giovanile del Pci e poi in formazioni extraparlamentari (Potere Operaio e Autonomia), alla fine degli anni '70 diventa comandante militare di Prima Linea.
Viene arrestato nel 1981, ed è tra i promotori della Dissociazione politica, che porta allo scioglimento delle bande armate, allo smantellamento dell'ideologia guerrigliera.
Ha collaborato per più di vent'anni con la Caritas diocesana di Roma e ora si occupa di reinserimento sociale e lavorativo.
Nell' estate del 2020, pubblica la sua biografia : "Addio rivoluzione. Requiem per gli anni settanta".
(Rubettino editore, 2020)
Il titolo spiega tutto.

"Il mondo alla sinistra del Pci, in quegli anni, lo frequentavo, era il mondo che mi stava attorno, lì c'erano i miei coetanei e anche molti dei miei amici.
Era quello il panorama dominante.
Che ti devo dire? E' chiaro che non condividevo certe loro esaltazioni, e men che meno, le romanzesche prospettive rivoluzionarie.
Il loro estremismo lo rifiutavo. la parola 'rivoluzione' veniva evocata e a volte persino messa in pratica con effetti nefasti.
nel 1976 / 77 Roma era sovrastata dallo scontro fisico, dai massacri e dagli agguati.
Gente di buona famiglia, era in prima linea con i caschi, le mazze, le molotov. (...)
Fino al sequestro Moro questa fu la situazione nelle piazze e sulle strade, questa la palude in cui molti si muovevano. O annaspavano."
L'autore di questa spietata analisi di quegli anni violenti è Francesco De Gregori, tratta dal libro- intervista con Antonio Gnoli, "Passo d'uomo" nel 2016, (ed. Laterza) 

Coinvolto anch'egli, in una spettacolare contestazione durante un concerto a Milano, nel 1976 (fu processato in pubblico, per il solo fatto di aver cantato a gente che aveva regolarmente pagato il biglietto), per mesi smise di esibirsi in pubblico.
Esattamente dieci anni dopo, nell'album "Scacchi e tarocchi", la canzone omonima, che apre il disco, fotografa in maniera asciutta ed essenziale l'atmosfera lacerante d quelle violenze etichettate politicamente:
"Non ho mai preteso di fare un'analisi storiografica. Sono schegge, facce, visioni, tentativo di penetrazione di un mondo personale nella storia.
Questo può fare un'opera letteraria o un' opera d'arte.
Cito sempre 'Guernica' a proposito perchè è l'esempio di tutto ciò: anche lì ci sono persone dalla parte 'giusta' e dalla parte sbagliata, ma l'opera trascende tutto questo: è la storia di un massacro, di una perdita, di morti, di feriti" ( da un'intervista in "Robinson" inserto di "Repubblica" il 26 Settembre 2020)
"La canzone è veicolo di idee, ma anche di sentimenti. (...)
Un giorno mi sono trovato a passare dopo una sparatoria: un giovane terrorista aveva ucciso per sbaglio un suo compagno, era lì steso per strada.
Gli occhi ancora aperti.
Ho provato delle sensazioni che non pensavo di essere capace di provare: tenerezza, pietà, pietas nel senso vero.
Ho pensato ai suoi cattivi maestri di pensiero. Non solo quelli alla Toni Negri, ma anche ai suoi maestri veri, ai suoi insegnanti, a suoi genitori, a lui.
Bisogna avere pietà dei corpi delle vittime: anche quando sono i nostri principali avversari"
(intervista da L'Espresso, 1985)



   

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