Stelutis alpinis - Francesco De Gregori

"Il canto popolare rappresenta le nostre tradizioni.
I canti parlano della nostra storia, dei 'mestieri' dei nostri antenati, dei loro sentimenti, del loro modo di intendere la vita.
Tutti dovremmo sapere queste cose.
Il canto usciva spontaneo e naturale, dove l'arguzia ed il senso dell'umorismo suggerivano nuove strofe, varianti, invenzioni.
Il contesto sociale e culturale è cambiato radicalmente dal secolo scorso, oscurando quelle tradizioni.
Ma il canto popolare che ci è stato tramandato parla di temi attuali, oggi come allora: esistono pur sempre le pene d'amore, il tradimento; è sempre attuale la perdita delle persone care; ci sono ancora le guerre, anche se molto diverse da quelle ricordate nei canti degli Alpini (...) dove non sono mai 'celebrate', ma viste come una fatalità da subire.
Ognuno racconta una storia, esprime dei sentimenti, propone situazioni diversissime, ma vive e 'reali'.
Se li leggiamo con attenzione, vi troviamo le nostre origini.
E la musica, sempre facile ma coinvolgente e suggestiva, ci aiuta a capire quei sentimenti, ad immedesimarci in quelle storie.
I nostri avi li cantavano, assieme alle mogli, ai figli, ai nipoti, ai fratelli, agli amici, ai commilitoni.
Cantiamo insieme anche noi, lasciamoci cullare da quelle storie, da quella poesia, da quella musica."
Nel 2007, Mauro Pedrotti, direttore del Coro Sat di Trento, scriveva questa introduzione per un disco di canti di montagna interpretati dal coro CET, composto da giovani universitari milanesi.
Tra quei classici c'era anche 'Stelutis alpinis' che più di dieci anni prima fu oggetto di una riproposta 'pop' da parte di Francesco De Gregori nel suo album 'Prendere e lasciare':
"Stelutis alpinis, si tratta di una traduzione e della rielaborazione di un canto friulano.
Mi piaceva molto il suono della lingua e la melodia originale, che, in realtà ho abbastanza modificato.
E' una canzone di guerra, un combattente sepolto in montagna, una semplice croce che indica la sua tomba in una radura piena di stelle alpine.
Parole d'amore rivolte ad una donna rimasta sola: se raccoglierai una di quelle stelle, io ti sarò sempre vicino, anche quando ti sembrerà che non lo sia più"

Nel libro intervista "Passo d'uomo",(Laterza editori, 2016), conversando con Antonio Gnoli, è lo stesso De Gregori, che racconta la genesi di una scelta musicale, piuttosto originale per un cantautore come lui, testimone dei tempi drammatici nella società italiana degli anni '70.
Ma, soffermando la riflessione sulla parola 'pietas', è come se confermasse le parole del direttore del coro Sat, riguardo alla grande tradizione della canzone popolare, in particolare dei canti alpini:
"Per 'pietas' intendo quel comune senso di appartenenza al dolore che identifica e in qualche modo nobilita la condizione umana e riscatta anche ciò che di negativo è insito nell'uomo.
Anche la sua sconfitta, anche il suo uscire dalla retta via, anche la colpa e l'errore.
La 'pietas' è un formidabile innesco narrativo, un potente strumento letterario.
Poi, dall'altra parte, c'è il libero arbitrio, il senso del Bene che dovrebbe guidarci, Dio o chi per lui" 

La 'Stelutis alpinis' di De Gregori avrà diverse versioni nel tempo:
ballata pop nell'album del 1996, orchestrale nell'album live un anno dopo. Con coro e accompagnamento della fisarmonica di Ambrogio Sparagna nel 2010, tutte rintracciabili in rete.
Qui la ascoltate in versione minimale, semplice ed emozionante, con chitarra e armonica a bocca, dall'album antologico 'Vivavoce'.
Un'operazione molto vicina alla grande tradizione dei ricercatori e musicisti, specialmente americani, che adattano l'antico songbook a sensibilità più attuali, come usa Ry Cooder, per intenderci.






 

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