Paura di amare - Eugenio Finardi

dal "Corriere della sera"   1 Marzo 2020

"Che cosa vince la paura in un bambino? La presenza della mamma.
Questo 'metodo' vale per tutti.
E' una presenza, non le nostre strategie, la nostra intelligenza, il nostro coraggio (...).
Ma domandiamoci: quale presenza è in grado di vincere la paura profonda, quella che ci attanaglia al fondo del nostro essere?"

E' don Julian Carron, guida del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione che scrive al direttore del quotidiano milanese. Scrive provocato dall'emergenza sanitaria del virus Covid -19 e delle conseguenze della vita sociale ed educativa. 
Naturalmente non lascia sospesa la risposta:
"E' per questo che Dio si è fatto uomo, è diventato una presenza storica, carnale.
Solo il Dio che entra nella storia come uomo può vincere la paura profonda, come ha testimoniato ( e testimonia) la vita dei suoi discepoli. (...)
Un modo nuovo di affrontare le circostanze, pieno di una speranza e di una letizia normalmente sconosciute (...)"

Nel 1998, il cantautore Eugenio Finardi, pubblicava un brano (inserito nell'album "Accadueo") dal titolo emblematico "Paura di amare", nel quale si pone proprio queste domande , segnalate dal sacerdote spagnolo.
La carriera di Finardi inizia a metà degli anni '70, segnati dalla coda della contestazione generazionale del '68, a ridosso dell'avvento dei moti sociali, piuttosto violenti, (purtroppo tollerati e non pienamente compresi da una certa casta intellettuale), nel mezzo della deriva terroristica, che avranno il loro massimo nella seconda metà di quel decennio.
La sua produzione artistica si fa notare proprio in quei raduni milanesi, dove i giovani della sinistra libertaria e intransigente, esprimevano tutto il loro dissenso dalla società borghese.
Era nei concerti al Parco Lambro e nelle kermesse di "Re nudo", che il giovane Finardi fa cantare a squarciagola i ritornelli di "Saluteremo il signor padrone" e "Musica ribelle", canzoni iconiche per le rivendicazioni "movimentiste".

I testi di Finardi, confezionati in musiche che si ispirano al rock blues nordamericano, però, non indugiano mai sull'uso della violenza, anzi, vogliono essere una riflessione sulle responsabilità personali che quei ragazzi dovranno affrontare nella vita adulta, magari avvolta in utopie idealistiche, ma puntando alla chiamata in causa di una coscienza più matura davanti ai tanti problemi sociali.

" La mia visione si è certamente trasferita anche nelle mie canzoni, ma fa parte della mia vita quotidiana. Credo sia fondamentale il discorso che l'uomo deve fare con se stesso: noi siamo responsabili delle nostre azioni."
Così Finardi risponde a Giampaolo Mattei, in un'ennesima interessante intervista contenuta nel volume, più volte citato "Anima mia" nel 1998.

Ma, ecco, se il prete cattolico rimanda alla presenza quotidiana di un Dio incarnato, Finardi afferma:
"Come possiamo noi, abitanti di un piccolo pianeta, pretendere o perfino cercare di comprendere Colui che regge le fila e tesse tutto? Legare a Lui le nostre scelte, mentre sono solo nostre, lo trovo inconcepibile. (...) Partire da:' 'io credo, non mi metto in discussione, non mi confronto', conduce inevitabilmente allo scontro tra fedi e allora la religione rischia di diventare non l'espressione del bene che c'è nell'uomo, ma l'espressione delle paure, dell'intolleranza, della violenza."

Insomma, anche se per tutto il resto dell'intervista, Finardi, con sincerità, riflette sull'importanza di un senso spirituale dell'esistenza umana e si pone con curiosità verso le religioni "rivelate", rimane ancorato alla sua posizione iniziale.
Ma la domanda urge, insistente: "che cosa vince la paura?"
E' proprio questa la domanda che ritorna, un pò sottotraccia, in questa canzone "Paura di amare", che, guarda caso, è dello stesso anno dell'intervista citata, 1998. 



  

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