Diamonds on the soles of her shoes - Paul Simon & Ladysmith Black Mambazo

da "Il Foglio" , 11 Giugno 2020

" 'Topple the racist'. E una mappa con sessanta statue in trenta città inglesi di cui si chiede l'abbattimento in omaggio al movimento nato negli Stati Uniti in seguito all'uccisione dell'afroamericano George Floyd (ad opera di un poliziotto bianco   n.d.r.). (...) 
Poi la protesta sotto i monumenti londinesi di Churchill, Ghandi e Lincoln. (...)
A Oxford, intanto, ha le ore contate la statua di Cecil Rhodes, filantropo, fondatore della Rhodesia, oggi Zimbabwe.
La posizione più coraggiosa è quella assunta sulla BBC da Sir Geoff Palmer, il primo docente di colore della Scozia, che vuole apporre targhe sui monumenti: 'Sono irremovibile, non voglio abbattere le statue, se inizi a rimuovere statue o nomi delle strade che hanno a che fare con la schiavitù, tra 50 anni, dimenticherai la schiavitù. Elimini la storia.'
Il cancelliere di Oxford, Lord Patten, ha ricordato che Nelson Mandela nel 2000 istituì il "Mandela Rhodes Trust" che finanzia studenti stranieri a Oxford: 'Se andava bene per Mandela, allora va bene anche a me - ha detto Patten - Cento studenti all'anno, un quinto dell'Africa vengono a Oxford, e noi vogliamo gettare la statua di Rhodes nel Tamigi'
Ma ora è come se tutta la storia occidentale fosse una gigantesca apartheid"

Così, conclude il suo articolo il giornalista Giulio Meotti, ricordando quel sistema di potere segregazionista che da secoli venne attuato dalla minoranza dei coloni europei, gli Afrikaans, rispetto alla maggioranza autoctona Zulu.
Una segregazione, che dopo anni di embargo economico del resto del mondo, negli anni '80, terminò durante il governo del partito dei bianchi, il National Party, presieduto da De Klerk.
Le leggi dell' apartheid, nel 1990, furono abrogate e Nelson Mandela, il leader di ANC, in prigione da molti anni, venne liberato.
Dopo anni di negoziati, nel 1994, si giunge, finalmente, alle prime elezioni multirazziali. 
Nel 1993, De Klerk, ultimo presidente bianco e Mandela, destinato a diventare il primo presidente nero del Paese, ricevono insieme il Nobel per la pace.

Nell'estate del 1984, a Paul Simon, così come egli stesso scrive sulle note di copertina dell'album "Graceland", un amico fa ascoltare un disco di canti tradizionali sudafricani, registrati a Soweto, che gli ricordano le atmosfere di incisioni di gruppi americani e di band inglesi.
Incuriosito, chiama il suo produttore  e ingegnere del suono Roy Halee, e con grande entusiasmo organizza un viaggio a Johannesburg, per incontrare i gruppi musicali di quelle terre.
Da questo incontro, tra le voci e gli strumenti degli artisti neri sudafricani e la creatività poetica e musicale di un grande del folk rock americano, nascerà un lavoro fondamentale per la storia del rock mondiale: "Graceland": letteralmente Terra di Grazia, che è anche un omaggio alla figura di Elvis Presley. Era il 1986.
Si può tranquillamente affermare che questo lp inaugura il movimento della cosiddetta "world music": uscirà in contemporanea con un altro capolavoro, in cui un artista occidentale miscela la sua arte con i musicisti africani, questa volta, del nord africa. Si tratta di "So" di Peter Gabriel .
Anche se, con una punta di patriottismo, ricordo che già un paio d'anni prima, la stessa operazione etnica, ma con artisti tutti italiani, viene realizzata da Fabrizio De Andrè che pubblica il suo "Creuza de mà" , incontro tutto mediterraneo tra la lingua antica genovese e i ritmi dell' Africa più vicina alle coste italiane.

Ritornando a "Graceland", il fatto che Paul Simon lo realizzi in Sudafrica, nel pieno delle sanzioni economiche, che isolavano il paese anche da collaborazioni artistiche, espone il grande songwriter, a diverse polemiche dentro e fuori il mondo del rock.
Lo racconta lui stesso a Matteo Cruccu nel maggio 2012 sul Corriere della sera:
"Io pensavo  che mi bastasse l'approvazione dei musicisti neri, non credevo servisse altro"
Ma - scrive Cruccu - venne attaccato duramente dai movimenti contro la segregazione: boicottarono il tour seguente con picchetti davanti ai concerti.
Mentre molti studenti afroamericani lo accusarono di essere il solito 'musicista bianco che si innamora della musica nera e non si ferma davanti a niente'.
Qualcun altro come Harry Belafonte lo rimproverò di non aver chiesto il permesso dell'ANC, il partito dell'allora detenuto Nelson Mandela: 'Se me l'avesse negato non ci sarei andato - ricorda Paul - ma nessuno, allora, mi disse niente'"

Nel 2018, conversando con Eleonora Bagarotti, autrice di un agile e interessante volumetto biografico su Simon & Garfunkel, ("Simon & Garfunkel. Un ponte su acque agitate"  Volo libero edizioni, 2018), l'artista newyorkese confida: " La musica è il luogo dove i muri non esistono. (...) 
Essere un artista famoso offre una possibilità importante, quella di aiutare a raccogliere fondi per varie cause e invitare le persone a riflettere".
L'invito è, quindi, di riascoltare (o scoprire) questa bellissima produzione, dal suono ancora attuale, fatta di storie semplici e quotidiane, con temi sociali appena abbozzati in forma poetica, e di meraviglia per quelle terre e per chi ci abita.
Sperando che a qualcuno, in questi tempi così balordi e inquieti, non venga in mente di apporvi un'assurda censura e proibirne l'ascolto 
















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