Arrivano i buoni - Edoardo Bennato

da "Figaro"  11 Giugno 2020
"L'immagine di George Floyd metodicamente asfissiato da un poliziotto di Minneapolis ha fatto il giro del mondo ed è insostenibile: (...) la questione nera resta la grande tragedia della storia americana. (...)
L'emozione deve ispirare la riflessione, ma non può esonerare dal sapere.
Nella maggior parte delle università del vecchio Continente, studiare la propria storia, la propria cultura d'origine significa accusarla, decostruirla perchè da lì verrebbero tutti i mali: schiavismo, colonialismo, sessismo, omotransfobia.
Combattere l'egemonia occidentale all'interno dello stesso Occidente, al di là della rivolta contro le violenze della polizia, ecco qual'è l'obiettivo del nuovo antirazzismo. (...)
L'antirazzismo non è più difesa dell'eguale dignità delle persone, ma una ideologia, una visione del mondo."
Così, il filosofo francese e gran polemista Alain Finkielkraut, commentando l'ondata di proteste e rivendicazioni (con annessi abbattimenti di statue e simboli di politici e uomini illustri europei), con la sola colpa di avere vissuto la cultura del loro tempo, che ha investito anche la Francia, come il resto d'Europa, dopo le barbare e irresponsabili uccisioni negli Stati Uniti, da parte di poliziotti bianchi a uomini di colore.

Massimo Teodori, laicissimo americanista, sul suo blog scrive:
"Dopo gli attacchi alle statue di personaggi famosi, possiamo aspettarci che la furia dei fondamentalisti tra i 'Black Lives Matter' si indirizzi a distruggere con il tritolo le facce di Washington, Jefferson, Lincoln e Teodore Roosvelt scolpite nella roccia del Monte Rushmore in Oklahoma, laddove sorgevano le Black Hills sacre per i nativi indiani.
I quattro famosi presidenti, simbolo della nascita, crescita, sviluppo e conservazione degli Stati Uniti, possono essere accusati di razzismo da chi è ispirato da approssimativi sentimenti anti-storici, che nulla hanno da invidiare agli islamisti che distrussero le millenarie statue di Budda e abbatterono gli straordinari reperti storici dell'antichità romana nel Nord Africa.
La tracotanza di chi ritiene di incarnare 'il bene' che comincia oggi per distruggere 'il male' del passato, si sa dove inizia ma non dove va a finire. (...)
C'è da chiedersi che cosa vogliono fare i talebani antirazzisti.
Tabula rasa?
Reinventare la storia?
Moralizzare e ideologizzare proiettando il politicamente corretto d'oggi sullo storicamente scorretto di ieri?"
Parole forti, per una situazione preoccupante, che mina la nostra capacità critica di capire la Storia e i suoi accadimenti attraverso i protagonisti, nei secoli.

Edoardo Bennato, è napoletano verace, ma cresciuto col suono "americano" dei juke box che nei vicoli diffondevano negli anni '50 il rock'n roll di Chuck Berry e il blues di Bo Diddley; dopo il diploma di liceo artistico , lascia l'Italia e nella Underground londinese si arma di chitarra, kazoo, armonica a tracolla e tamburello a pedale e vive un'esperienza da 'cantante di strada'. Era il 1965
Tornato in patria, pochi mesi dopo, mentre si iscrive alla facoltà di ingegneria al Politecnico di Milano, dopo un'esperienza alla RCA, viene accolto dalla 'factory' di Lucio Battisti e Mogol, insieme alla (non ancora) Premiata Forneria Marconi, Formula Tre, Bruno Lauzi, Adriano Pappalardo ed altri persi poi per strada.
Si fa le ossa come autore e ( a suo dire) influenza  con la sua passione per i classici del blues , la produzione meno 'popolare' del genio di Poggio Bustone.
Poi, un primo 33 alla 'Elton John', ma già alla sua seconda uscita, "I buoni e i cattivi", (1974), si impone come uno dei pochissimi cantautori italiani considerati eredi dei 'bluesman' afroamericani, anche se fortemente debitori della tradizione popolare napoletana e addirittura orchestrale del melodramma italiano.
Edo, si fa notare, inoltre, per i suoi testi intelligentemente sarcastici, satira feroce della società e dei meccanismi del potere, spesso mandando in estasi il pubblico della sinistra militante che però non si accorge che la critica e il 'messaggio' di Bennato, essenzialmente anarchico, va oltre gli schemi dettati dal conformismo e dall'egemonia dei comitati politici.
Scrive Francesco Donadio, nel suo libro - biografia 'Edoardo Bennato, venderò la mia rabbia' (edizioni Arcana, 2011):
" 'Arrivano i buoni' è uno dei pezzi- chiave e anche il meno capito da tutti. Anche qui, Bennato fa del punk- cabaret, avviando i procedimenti in solitario con chitarra, tamburello e con l'aiuto dell'irridente kazoo. E' incredibile che all'uscita del disco non venga compreso chi è stavolta nel mirino, perchè a rileggere il testo è molto chiaro (...)
E' un Bennato che ha fatto tesoro del periodo passato a suonare nelle varie situazioni politiche della sinistra giovanile, e praticamente quello che fa è ..... prendere in giro il suo pubblico, quelli che sono convinti di essere i buoni e con l'avvento della loro ideologia, potrà finalmente cominciare una nuova era più giusta, per tutti.
Senonchè, Edoardo, denuncia il pericolo insito in questa certezza: 
i pericoli del terrorismo, con l'arrivo sulla scena delle Brigate Rosse e di altri gruppi paramilitari, diventeranno una realtà quotidiana per tutti gli italiani.
Lo sbeffeggiamento di Edoardo con il kazoo intona prima Faccetta nera e poi l'Internazionale.
Come dire: voi e i fascisti siete, in fondo, la stessa cosa."
Lo stesso Bennato, in una intervista di quegli anni afferma:
"Non mi pace attaccare crudelmente nessuno, perchè, chi sono io per farlo?
In ogni persona c'è una parte buona e una cattiva, per cui come faccio a essere sicuro in assoluto delle mie buone intenzioni?
Per me non esistono, su mille persone cinquecento buoni e cinquecento cattivi, ma mille persone buone e cattive nello stesso tempo."

Da anni, forse da decenni, purtroppo, Edoardo Bennato, non ne azzecca più una, ma il suo decennio 1970 - 1980, rimane ciò che di più creativo e  spiazzante si è prodotto nella storia del cantautorato italiano



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