Quando sarò capace d'amare - Giorgio Gaber

"La frase di S. Agostino 'Che cosa è così tuo di te stesso? Ma che cosa è meno tuo di te stesso, se ciò che tu sei appartiene ad un altro', sintetizza anche per noi uomini una delle intuizioni più profonde: che il contenuto della propria autocoscienza si svela nella appartenenza a un altro.
Ciò è evidente soprattutto nel bambino: tutta la coscienza che egli ha di sé è nella appartenenza, sperimentata come un bene, al padre e alla madre.
Altrimenti viene impedito lo stesso sviluppo della sua coscienza.
Per una persona adulta, anche se molto giovane, l'appartenenza ad un altro essere umano non è il primum; per prima cosa viene il sentimento di sé, della propria personalità.
Quanto più questo sentimento di sé è profondo e vero, tanto più si è capaci di appartenere a un altro.
Ma qui scopriamo il segreto più interessante: che per avere un sentimento di sé che sia dignitoso, consistente, operativo - direi quasi 'definitivo' della propria persona - bisogna percepire una appartenenza ancor più originale: quella nei riguardi di Cristo, di Uno che ci redime dalla nostra fragilità, dallo sgomento della precarietà.

Se uno sente il bisogno di appartenere totalmente alla persona di cui si va innamorando, la strada unicamente percorribile mi sembra quella dello stupore.
Ecco: se nasce lo stupore dell'incontro fatto, in esso è implicito il senso di una Grazia, di un dono.
Infatti si tratta di una appartenenza nuova che nasce da circostanze non programmate, non previste.
Ma occorre una certa sensibilità, una certa semplicità di cuore per accorgersene.
Anche in tal caso, però, non è possibile scoprire tutto il valore di quel presentimento o di quello stupore, se non si incontra un maestro e una compagnia nei quali sia già viva la coscienza che tutto ci è donato da Dio (...)
Nel frastuono di oggi, quello stupore spesso appena accennato, difficilmente riesce ad approfondirsi.
Tutto diventa subito abituale, tutto è dovuto, meccanico. (...)
Ma proprio per attraversare questa stanchezza e queste delusioni, proprio per riscattarle, l'unica modalità razionale è quella di seguire la logica ultima dell'amore che è la passione per il Destino dell'altra persona."

Sono, questi, alcuni passaggi (pp. 92 - 93 -94 - 95) da una conversazione tra don Luigi Giussani, il carismatico iniziatore del Movimento ecclesiale "Comunione e liberazione" e il teologo Antonio Sicari nel libro, pubblicato nel 1990, a firma dello stesso Sicari "Breve catechesi sul matrimonio" ed. Jaca Book, ripubblicato dalla stessa casa editrice nel 2015.

"C'è un nostro pensiero fisso alla base di questo brano: il dilagare dell'infantilismo.
Che strano, riascoltando questa canzone mi è venuta in mente una vecchia fotografia di mio padre poco più che ventenne. (...) Al tempo della fotografia lui era sposato e aveva già avuto una figlia (...)
non solo aveva anche un lavoro, un lavoro serio, e dopo un pò, a trent'anni circa, avrebbe avuto altri due figli. (...) a quell'età mio padre manteneva già una famiglia di cinque persone. (...) insomma era un uomo fatto!
Voglio dire, che risposta potremmo dare oggi noi a "Quando sarò capace d'amare"?
Quand'è, che insomma, che saremo davvero capaci di amare? (...)

A volte penso che il nostro destino, soprattutto quelli di noi uomini, sia proprio di restare eternamente bambini; bambini che crescono magari, che invecchiano anche, ma che non diventano mai adulti;
bambini incapaci di assumersi fino in fondo la proprie responsabilità, incapaci di attraversare con gioia e fermezza la fatica dei giorni, incapaci, insomma, di amare."

Un grande anarchico Sandro Luporini! Una delle due menti pensanti insieme a Giorgio Gaber dello straordinario ed epocale "Teatro canzone" che fece discutere la cultura italiana e tutto il popolo fedele alla presenza nei teatri dove per trent'anni andò in scena.
Nel suo bellissimo e consigliatissimo libro "G. Vi racconto Gaber" (ed. Mondadori, 2013), nel quale riguardo la genesi di "Quando sarò capace d'amare" racconta un aneddoto con protagonista il cantautore milanese:
"Un giorno, nei primi tempi della nostra amicizia, ci capitò di cenare in un ristorantino sui Navigli (...)
Apparve una giovane ragazza di una bellezza sconvolgente (...) mi rivolsi a Giorgio: 'Non ho mai visto una donna così belle in vita mia. Non è una donna è un angelo!'
E lui: "Si, in effetti è carina"
'Ma come è carina, Giorgio!' (...)
Giorgio non smetteva più di ridere, non l'ho mai visto ridere così tanto.
Poi mi disse, con tono serio e pacato, che non posso, neppure a distanza di tanto tempo, dimenticare:
'Ammesso che sia bella, ed è vero; ammesso che sia sensibile ed intelligente; ammesso che sia anche capace di un affetto profondo; ecco, in questo caso io a una donna così, compresi quei momenti in cu è meno bella, compresi quei momenti non esaltanti che hai detto prima, insomma io, a donna così, senza stare tanto a volare, vorrei semplicemente volerle bene per tutta la vita."

"Quando sarò capace d'amare" è contenuta nella produzione teatrale del 1995 "E pensare che c'era il pensiero" e questo ultimo di Gaber può introdurre adeguatamente il brano:
"Nell'adolescenza la costante è quella dell'imitazione. Quindi l'amore è vissuto come un rito immaginativo, non come realtà; così l'amore è fatto di attimi esaltanti, ma non passa attraverso la normalità della vita.
Il desiderio, l'aspirazione che c'è nella nostra riflessione è quello di essere adulti, di essere persone, di vivere una vita che ti lasci dei segni, di intrecciare rapporti che non siano solo un gioco d'infanzia, ma che spingano verso una crescita continua."






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