L'isola che non c'è - Edoardo Bennato

"C'è poi un altro indizio che sembra smentire la diffusa abitudine di instaurare legami troppo stretti tra le utopie moderne e le fantasie arcaiche sulla mitica età dell'oro dove tutto contribuiva 'spontaneamente' a rafforzare e confermare una condizione di beatitudine naturale priva di costrizioni e barriere repressive.
L'eco di quelle fantasie e di quei sogni ad occhi aperti, infatti, sembra semmai ritrovarsi più potente e ricca di suggestioni proprio in tutti quei racconti 'moderni' che soltanto con spericolate acrobazie intellettuali sarebbe lecito apparentare alle utopie in senso classico, non foss'altro per la loro esplicita 'impoliticità'. (...).

Un pulviscolo di affrettati esperimenti e di vagheggiamenti di mondi 'diversi' che si riallaccia al miraggio di un 'universo parallelo' ignaro di vincoli e costrizioni proprie del principio di realtà ma incapace di tradursi in realtà condivisa da un'intera organizzazione sociale, e che richiama un sogno ingenuo di liberazione 'interiore', una pulsione 'anarchicheggiante' e libertaria che nel recinto di un artificiale e gaiamente irresponsabile giardino edenico rompe 'poeticamente' ogni rapporto con la realtà esterna.
Un mondo alternativo che con la cupezza delle utopie autoritarie davvero non ha con tutta evidenza, alcunché da spartire.
E infatti l'utopia moderna inizia esattamente dove finisce l'innocua fantasticheria e il sogno ad occhi aperti"

Pierluigi Battista, una lunga carriera di giornalista ed editorialista de "La Stampa", "Panorama", "Corriere della sera" e attualmente collaboratore del sito italiano dell' "Huffington post", pubblica nel 2000 un interessante saggio, dal titolo "La fine dell'innocenza", ed. Marsilio, nel quale, partendo dalle opere letterarie di filosofi e umanisti quali l'inglese Thomas More (Santo cattolico e martire, autore del romanzo "Utopia", 1516) e Tommaso Campanella (frate domenicano calabrese, autore del saggio "La città del sole", 1602), arriva ad affermare che, storicamente, l'"utopia buona" di una società perfetta, perdendo il suo afflato cattolico, sia stata la matrice dei totalitarismi e del comunismo storico che hanno attraversato l'ultimo secolo del millennio scorso, partendo proprio dall'assunto che "una società perfetta non può non essere autoritaria, repressiva, intollerante, dominata da uno stato senza limiti che invade ogni aspetto della vita privata, che pretende di controllare ogni atomo della vita individuale e collettiva."

"Soprattutto la prima produzione di Edoardo Bennato è attraversata da un tema chiave: l'utopia.
L'aspirazione ad un mondo ideale, la realizzazione del quale passa attraverso la ribellione al sistema.
La sua idea troverà l'espressione più evidente nel brano "L'isola che non c'è".
Per Bennato la vera follia è lasciarsi vincere dal cinismo, perdere le speranze, lasciar cadere le illusioni."

Così troviamo scritto nel libro, edito nel 1990, "I nostri cantautori", Thema Editore, scritto da un illustre produttore e autore Gianfranco Baldazzi e da due insegnanti Luisella Clarotti e Alessandra Rocco.

Personalmente ritengo questo giudizio sul cantautore napoletano troppo severo.
Nel Bennato che percorre la parte più creativa della sua carriera (quella tra il 1973 e 1985), trovo una capacità di ficcante satira e denuncia delle contraddizioni della società politica e sociale di quegli anni, partendo, innegabilmente da quella cultura anarchica e libertaria, quella permeata dall' "utopia buona", che alla lunga risulterà perdente tra derive violente della contestazione giovanile del post 68.
La sua produzione, scoppiettante e geniale in parole e musica, lo vede protagonista di una trilogia di rivisitazioni di favole classiche attraverso le quali raccontare l'attualità.
In "Burattino senza fili", parte da un percorso umano, che lo metterà in competizione, nell'interpretare la favola di Collodi, con le riflessioni di un principe della Chiesa, gran teologo, Giacomo Biffi, futuro arcivescovo di Bologna, che proprio nello stesso periodo pubblica per Jaca Book il saggio "Contro Maestro Ciliegia"

Nel 1980, è protagonista di un eccezionale successo discografico, con l'album "Sono solo canzonette".
E qui, attraverso la fiaba di Peter Pan, filtrandola col pensiero di Erasmo da Rotterdam e il suo "Elogio della follia", mette in scena in un eterogeneo e scoppiettante musical, le due facce dell'utopia: quella politica e violenta di Capitan Uncino, figura del giovane borghese intellettuale che predica il terrorismo armato contro lo Stato padrone, quella delle regole patriarcali che non sanno avere un rapporto di fiducia con i figli, e quella "esistenziale" del fanciullino che sogna la società "perfetta", illudendosi che questa non si possa mai "corrompere".
Ecco, "L'isola che non c'è", ne è il manifesto!

Ed è un brano che non abbandonerà più, spesso oggetto di sue ulteriori riflessioni:
"Per definizione, il concetto dell'Isola che non c'è, rappresenta l'utopia, quindi si corre il rischio di crogiolarsi nella ricerca, perdendo di vista gli obiettivi concreti.
Mi spiego: quest'isola, al punto in cui si trova l'umanità, in questo periodo storico, bisogna necessariamente, assolutamente trovarla!
Non ci è rimasto molto tempo.
Dobbiamo invertire la rotta, cambiare mentalità nell'approccio al clima, al continuo e sistematico sfruttamento dei suoli e delle aree, risolvere il divario che esiste tra Nord e Sud del Mondo che provoca esodi 'biblici'.
Dunque bisogna cambiare.
La natura si riprende ciò che è suo, usando mezzi inaspettati, come nel caso della pandemia che stiamo vivendo.
Abbiamo pensato di essere i padroni del pianeta, e invece ..."

Sono solo canzonette?   




Il video è tratto da un concerto realizzato al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma con la partecipazione del gruppo dei "Solis String Quartet"
La regia televisiva è di Eugenio "Mosby" Bollani, grande creativo e ora anche novello romanziere (date un occhio su Amazon)   

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