Il testamento di Tito - Fabrizio De Andre'
"Gesù è stato 'elevato'.
La croce è il suo trono, dal quale attira il mondo a sé.
Da questo luogo dell'estremo dono di sé, da questo luogo di un amore veramente divino, Egli domina come il vero re, a modo suo - nel mondo che né Pilato, né i membri del sinedrio avevano potuto comprendere.
Non entrambi gli uomini crocifissi con Lui si associano alla derisione.
Uno dei due intuisce il mistero di Gesù.
Sa e vede che il genere di 'delitto' di Gesù era tutto diverso; che Gesù era un non violento.
Ora si accorge che quest'Uomo crocifisso con loro, veramente rende visibile il volto di Dio, è il Figlio di Dio.
Così lo prega: 'Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno' (Lc 23,42)
Come il buon ladrone abbia immaginato precisamente l'entrata di Gesù nel suo regno e in che senso abbia quindi chiesto il ricordo di Gesù, non sappiamo.
Ma ovviamente egli proprio sulla croce ha capito che quest'uomo privo di ogni potere è il vero re. (...)
La risposta di Gesù va oltre la richiesta.
Al posto di un futuro indeterminato, pone il suo oggi: 'Oggi sarai con me nel paradiso' (...)
Così nella storia della devozione cristiana il buon ladrone e diventato l'immagine della speranza - la certezza consolante che la misericordia di Dio può raggiungerci anche nell'ultimo istante;
la certezza, anzi, che dopo una vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana.
'Tu che hai esaudito il ladrone anche a me hai dato speranza', prega ad esempio anche il 'Dies irae' "
E' un brano, questo, tratto dal secondo volume di una trilogia, pubblicato nel 2011, redatto da papa Benedetto XVI, iniziato quando era ancora teologo / cardinale: "Gesù di Nazaret" (Libreria Editrice Vaticana, 2011)
"Ho scritto l'album "La Buona Novella" dalla necessità di riconoscere in Cristo il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.
Lui ha combattuto per una libertà totale ma piena di perdono, cioè ricca di un elemento straordinario.
Anche per questo il cristianesimo è il movimento rivoluzionario di stampo sociale per eccellenza.
Non a caso ha punti di contatto con la cosiddetta utopia anarchica.
Ma al tempo stesso credo che pensare a Cristo come il figlio di Dio, di qualcosa di inarrivabile, quindi, renda difficile se non impossibile per l'uomo il poterlo imitare.
In questo modo si finisce con l'avere un alibi per non imitarlo"
E' il 1982 e Fabrizio De Andrè, risponde così in un'intervista realizzata in un programma Radio Rai, "Un'isola da trovare" curato dai giornalisti Massimo Bernardini e Cris Thellung (esempio di amicizia catto-anarchica).
Ispirato dai vangeli apocrifi (cioè quelli poetici, non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa) l'album "La Buona Novella" è stato scritto da Fabrizio De Andrè tra gli anni '68 e '70, gli anni della contestazione giovanile. Infatti l'uso dei testi apocrifi per raccontare la vita terrena di Gesù è la testimonianza di un rifiuto di qualsivoglia autorità costituita, seppur in quella tensione "religiosa" che attraversava anche il campo anarchico/radicale del quale il cantautore genovese era tra i componenti più rappresentativi nel mondo culturale.
Affermerà a Giampaolo Mattei nel libro "Anima mia" (ed. Piemme, 1998):
"La Buona Novella" è un lavoro antico che cerca di raccontare l'uomo. (...)
Molti ritennero il mio disco anacronistico perchè parlavo di Gesù Cristo nel pieno della rivoluzione studentesca (...)
Tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni devono guardare l'insegnamento di Gesù.
Lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono.
Al contrario di certi casinisti nostrani che combattono per imporre il loro potere, il perdono è un elemento straordinario.
Nessuno, ad esempio, mi toglie dalla testa che Cristo avrebbe salvato tutti e due i ladroni che stavano sulla croce accanto a lui, sì, anche quello cattivo. (...)
Ecco così ribadita l'attualità della mia vecchia canzone 'Il testamento di Tito'"
Una dichiarazione che trova conferma proprio nell'ultima frase del brano:
"Io nel vedere quest'uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l'amore"
Nel 33giri del 1970, Fabrizio De Andrè, oltre degli arrangiamenti di Giampiero Reverberi (altro grande padre nobile delle orchestrazioni dei cantautori storici della scuderia "Ricordi"), si avvale della collaborazione dei "Quelli", il primo nucleo di un gruppo che poi diventerà la "Premiata Forneria Marconi", che quasi dieci anni dopo saranno responsabili della sua svolta "rock".
Appunto per questo, in questa "stanza" potete ascoltare tutte e due le versioni:
quella degli ultimi concerti prima della sua scomparsa, debitrice degli arrangiamenti "rock", con in formazione i due figli Cristiano e Luvi, capitanati da Mark Harris e quella originale.
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