L' umarell - Fabio Concato

"Mai come adesso il cammino è la cura.
Conosco tante persone, e una a me molto vicina, che sono rimaste a terra, hanno vissuto  mesi scorsi come una fine, una cesura definitiva e irrimediabile che crea un prima e un dopo nella loro esistenza.
Persone che non sanno da dove ricominciare, come dopo uno shock traumatico. (...)
Ci siamo presi un bello spavento, di quelli che fanno venire i capelli bianchi d'un colpo.
Ciò che abbiamo provato, e che ci ha sconvolto più di ogni altra cosa, è definito dalle neuroscienze come sindrome da 'impotenza appresa'.
Avete presente quegli esperimenti in cui una cavia viene sottoposta continuamente ad una scossa elettrica che non può evitare? Ecco. Noi di solito, per poter vivere, ci convinciamo di avere la capacità di raggiungere gli obiettivi che ci prefissiamo: tutta la nostra cultura è basata su questo assunto, in ciò consiste il nostro essere 'occidentali', la nostra 'hybris', quel vago senso di onnipotenza che ci caratterizza.
Poi sopraggiunge un qualche evento a dimostrarci che non abbiamo alcun controllo su quanto ci accade.
Ed è allora che arriva la depressione, se non peggio.
Siamo sopraffatti dalla paura di non avere mezzi, nè mentali, nè fisici, per cavarcela.

La nostra esperienza da cavie l'abbiamo vissuta su un balcone, con le spalle rivolte alla casa che ci proteggeva e gli sguardi a scrutare un ambiente esterno che all'improvviso ci era precluso perchè minaccioso, facendo ciao ciao con la manina ai vicini per darci coraggio.
Soprattutto siamo stati fermi. (...)
Abbiamo dimenticato che siamo nati per camminare, perchè solo così che sappiamo stare al mondo."

Considerazioni tra l'amaro e il disincantato, ma con al fondo una voglia di riprendere una vita "normale", queste, del vicedirettore del Corriere della Sera, Antonio Polito nel suo libro "Le regole del cammino", (Marsilio Editori, 2020), il diario di "un viaggio verso il tempo che ci attende", al tempo della pandemia, fatto in compagnia di amici, nel "Cammino di San Benedetto", da Norcia a Montecassino, nell'Italia dei borghi e dei paesi, solo apparentemente minore.

Più o meno, le stesse riflessioni del cantautore Fabio Concato:
"Tempo fa un mio amico mi ha regalato un 'Umarell' di colore rosso, quella famosa statuina che rappresenta quei pensionati che con le mani dietro la schiena stanno ore e ore ad osservare i lavori in corso nei cantieri delle loro città, e la tengo nel mio studio, sul leggio della tastiera.
Mi osserva quando suono, quando canto.
Una settimana fa sembrava che volesse chiedermi che cosa stessi facendo per il dramma che stiamo vivendo, in che modo mi stessi adoperando per questa emergenza.
ma che cosa dovrei fare in quarantena? Mi sono chiesto guardandolo.
E così è nata "L'Umarell".
E' stata l'ispirazione di un momento speciale.
'Carpe diem', insomma.
Mi sono sentito chiamare da qualcuno che mi chiedeva qualcosa.
"L'Umarell" è stato lo strumento per parlare brevemente, lontano da ogni retorica, di un momento che ci ricorderemo sempre.
Per il lavoro che tanti hanno perso o potranno perdere.
Per non dire dei lutti, decine di migliaia di persone.
Che sono morte gratis, e non va bene!
Io in questa canzone ho solo cercato di dare il mio contributo come autore, senza alcuna retorica, con un pizzico d'ironia e con molto cuore."

Parole dello stesso Concato in un'intervista rilasciata a Massimo Iondini di "Avvenire"

Dopo un periodo di meritato successo negli anni '80 e '90, compositore di un catalogo di titoli che recuperavano la delicatezza e l'umanità dei rapporti d'amore e d'amicizia, spesso pescando nei ricordi familiari, il cantautore milanese ha vissuto un oblìo, fatto di timide uscite discografiche, ma nello stesso tempo divertendosi a collaborare, in apprezzati concerti, con i grandi jazzisti italiani, riarrangiando le sue hit.
Anche "L'Umarell", pur essendo una canzone dalla trama musicale delicata come "carta velina", racconta di un rapporto di amicizia con una persona anziana, che alla fine, dovrà arrendersi alla mortale malattia, come tanti, i più deboli, i più anziani, custodi della storia e della tradizione di ogni famiglia del nostro Paese, che sono andati via in silenzio, lontani dai loro cari:
"Senza un bacio, una carezza, una ragione, senza un 'mi sunt chi e te voeri ben'"
 
Concato tocca il cuore dell'ascoltatore cantando in dialetto meneghino, riportando alla memoria le pagine migliori di un altro illustre e istrionico musicista della Milano d'altri tempi: Enzo Jannacci.
Alla fine un vero e proprio omaggio finale:
"Ciao Enzino, dai vieni giù che facciamo un giretto.
- Ma quale giretto! Non si può è pericoloso!"




Commenti

  1. Bellissima, non l'avevo ancora ascoltata. come sempre di una delicatezza straordinaria. Bellissimo anche il clip. e l'utilizzo, per una volta, del milanese.

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