Se ci fosse un uomo - Giorgio Gaber

"Gente del mio tempo, perchè non sei in cammino?
perchè te ne stai seduta nelle tenebre che ricoprono la terra, nella nebbia fitta che avvolge i popoli?
Gente del mio tempo, quale male oscuro impigrisce il tuo pensiero, sfianca le energie, dissuade dal sognare?
Gente del mio tempo, quale sospetto ti rende diffidente?
Quali ossessioni ti rendono irrequieta?
Quali paure bloccano lo slancio?
Gente del mio tempo, chi ti ha convinta che quando c'è la salute c'è tutto, se per l'ossessione di custodire la salute ti privi di tutto?
Chi ti ha persuasa che la generosità sia un azzardo, che la compassione sia una debolezza, l'amore sia un pericolo, la promessa che s'impegna per sempre una imprudenza?
gente del mio tempo, perchè te ne stai a testa bassa a compiangere la tua situazione?

E voi sapienti, perchè non sapete dire la via, voi esperti di ogni sapere, perchè non siete in cammino?
Sembra che il virus, che stiamo combattendo e che cerchiamo con ogni mezzo di arginare, abbia seminato non solo malattia e morte, ma un male più oscuro, una paralisi dello spirito, una sospensione della vita, una confusione sul suo significato, uno scoraggiamento e un senso di impotenza"

Domande che vanno al fondo della questione (si diceva una volta) quelle rivolte all'assemblea raccolta nel Duomo di Milano, il 6 Gennaio 2021, festa dell'Epifania del Signore dall'Arcivescovo mons. Mario Delpini.
Domande radicali per capire lo "spaesamento" di una società di fronte al dramma della pandemia.
Domande che toccano l'anima e che dovrebbero provocare un moto di adesione, perlomeno per una presa di coscienza personale, indipendentemente dalla propria appartenenza alla fede religiosa.

"C'è ancora una cosa di cui voglio parlare.
Si tratta dell'ultima canzone: per me è importante, forse la più importante.
Credo infatti che riassuma in sè il senso di tutto il nostro lavoro.
E' stata l'ultima canzone che Giorgio ha cantato e mi piace pensare che il caso abbia voluto che fosse proprio questa a siglare un percorso che finisce qui.
Sto parlando di 'Se ci fosse un uomo'.
A dire la verità, a tutt'oggi io non ho certo le idee chiare su come potrebbe essere quest'uomo. (...)

'Se ci fosse un uomo' ipotizza la possibilità di un cambiamento vero della nostra precaria esistenza e la nascita di un individuo nuovo, vivo e vitale.
Ma in questa canzone non c'è solo la speranza di vedere ristabilita la centralità dell'uomo, dell'uomo nella sua essenza più profonda e vera, all'interno della sua stessa esistenza.
Qui, forse, per la prima volta, io e Giorgio ci siamo davvero permessi di affermare 'come' dovrebbe essere quest'uomo.
Con un'immagine un pò sognante abbiamo pensato così ad uno spazio vuoto, che deve ancora essere popolato.
La mia generazione non è stata capace di popolare quello spazio vuoto, e credo che neanche quella successiva possa ormai riuscirci."

Parole tra il disincanto e l'amarezza, queste di Sandro Luporini, storico inventore del Teatro Canzone insieme a Giorgio Gaber, tratte da un libro che tutti gli amanti di questa imprescindibile esperienza di "arte civile" dovrebbero avere sui propri scaffali: "G. Vi racconto Gaber" pubblicato da Mondadori nel 2013.
Giustamente il grande anarchico viareggino (classe 1930) elegge "Se ci fosse un uomo" come l'estrema sintesi di decenni di affondi musicali e letterari sulla vita sociale, culturale, politica e in ultima analisi, umana, della comunità italiana, denunciandone i limiti, ma sempre con una passione, e perchè no?, con una misericordia "laica" (forse un termine un pò abusato, scusate) unica nel panorama artistico tricolore.

"Siamo ancorati a terra dal peso delle nostre preoccupazioni, delle nostre angosce e dal voluminoso fardello di tanti valori divenuti irrimediabilmente logori.
Questo peso ci impedisce di volare verso una realtà più autentica, più nostra, e ci fa rinchiudere n noi stessi, nelle nostre case, nelle nostre famiglie." 
(Gaber, 1974)
"Il declino della coscienza lo si può riscontrare non solo nella politica, ma anche nella cultura, nel costume, fino ad arrivare ai rapporti personali.
Ideologia e coscienza sono termini inconciliabili, addirittura antitetici, e il mercato, con le sue regole e le sue costrizioni consumistiche, necessita, per imporsi, di una totale assenza di coscienza o, meglio ancora, di false coscienze"
(Gaber, 1999)
E' giunto il momento per ognuno di fare i conti con se stessi senza alibi, senza pietismi, senza giustificazioni.
Dico che basterebbe smettere una volta per tutte di sentirsi sempre delle brave persone, richiamandomi a quella cosa antica che una volta che una volta si chiamava 'esame di coscienza'.
C'è bisogno di rigore, uno dei temi fondamentali di tutti i miei spettacoli."
(Gaber, 1997)

E si potrebbe andare avanti all'infinito (a proposito le frasi di Gaber sono raccolte in un altro bel libretto "Quando parla Gaber" a cura di Guido Harari,  Chiarelettere, 2011).
Gaber / Luporini sono stati i cronisti, a volte con una satira arguta e travolgente, altre volte con riflessioni profonde e puntuali, di un popolo in crisi di identità.
Pur non partendo da una appartenenza religiosa, ma disposti ad essere provocati ed a considerare questa ipotesi di "lavoro", disponibili ad un confronto nel reale, con una umanità riconosciuta da tutti quelli che li hanno incontrati.

"Se ci fosse un uomo" è veramente l'ultima canzone della parabola discografica dell'artista milanese
(è contenuta nell'album postumo "Io non mi sento italiano" del 2003): intenso e radicale, il testo, attualissimo, gira intorno ad una richiesta, che l'uomo popoli uno spazio vuoto, che lo possa far cambiare.

E Mons Delpini, se avesse davanti Gaber , come risponderebbe?
"Riconosciamo che abbiamo bisogno non solo della salute, ma della salvezza!
E Gesù è il Salvatore. (...)
Venite ad adorare il nostro Salvatore: non è un'idea, non è una dottrina, è presente, vivo, ci parla, ci chiama"

Grazie Luporini, grazie Gaber, grazie mons.Delpini










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