Anthem - Leonard Cohen

"So che desidero l'Infinito, che questo Infinito c'è perchè ho sempre nostalgia di Lui, come diceva Lagerkvist, ma ogni giorno afferro il particolare, vado dietro a questo o a quell'oggetto, che poi mi lascia insoddisfatto.
Questo è il destino dell'uomo, a meno che Dio non si degni di visitarlo, come scrive Wittgenstein nei suoi 'Diari':
'Hai bisogno di redenzione, altrimenti ti perdi (...) Deve, per così dire, filtrare una luce attraverso il solaio, il soffitto sotto cui lavoro e al di sopra del quale non voglio salire (...)
Questo tendere all'assoluto, che fa apparire troppo gretta ogni felicità terrena (...) mi appare come qualcosa di splendido, di sublime, ma io stesso punto il mio sguardo alle cose terrene: a meno che 'Dio' non mi visiti' ".

E' un brano del poderoso saggio "La bellezza disarmata", pubblicato nel 2015 (Rizzoli) da Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che, come spiega in quarta di copertina, vuole essere "un invito ad aprirsi agli altri e a non irrigidirsi sulle proprie posizioni. Un' esortazione ai cristiani a entrare senza timore in un dialogo a tutto campo nello spazio pubblico e a verificare la capacità della fede di reggere davanti alle nuove sfide della nostra realtà".

Sfida raccolta dall'antropologo e filosofo basco Mikel Azurmendi.
Dichiaratamente laico e agnostico fino al giorno dell'incontro con la realtà di C.L.
Esperienza personale che racconta nel libro "L'abbraccio. Verso una cultura dell'incontro" (Bur Rizzoli, 2020)
E in un'intervista il filosofo riprende lo spunto di Carron:
"Per me Wittgenstein (...) era una persona straordinaria (...) e ho trovato la citazione di Carron dei 'Diari': Che cosa vogliamo più della redenzione? Dov'è?
Ma Wittgenstein dice: siamo qui, seduti al nostro tavolino, riceviamo luce dal lucernario, tu lo guardi, è un segno dell'assoluto a cui vorrei salire, ma io sto concentrato sulle cose terrene. E qui mi fermo, a meno che non venga Dio e mi illumini.
Ho capito dove Wittgenstein non ha osato (...), nell'agnostico c'è sempre il timore di scoprire la verità.
Preferisce dire: 'Io non so, potrebbe essere, ma .... che la luce venga su di me!' (...)
Avrebbe potuto dire: 'E se salissi verso la luce? Perchè non salgo a sporgermi?'
Credo che sia quello che ho voluto fare io, salire al lucernario e guardare ... e ho visto voi"

E' una questione di sguardo, spiega Julian Carron:
"Il cieco nato non si schiera da subito con Gesù. Innanzitutto aderisce alla realtà, si schiera con il fatto, è leale con l'evento: 'Prima non ci vedevo, adesso ci vedo'. (...)
Il cieco guarito non è un invasato intransigente che vuole imporre la sua interpretazione, è l'unico che non calpesta il fatto (ora ci vede e questo è avvenuto per quell'uomo chiamato Gesù), un fatto che tutti gli altri vogliono negare per imporre la loro ideologia sull'evidenza della realtà"
(Giornata inizio d'anno sociale, Comunione e Liberazione , 26 Settembre 2020 da "Tracce", 2020)

"C'è una crepa in ogni cosa e così entra la luce"
Queste parole, nella vita, non solo artistica, di Leonard Cohen, sono spesso risuonate, quasi come un inno, un timbro, un "marchio di fabbrica".
Fanno parte di un brano tra i più famosi, tra i più ispirati del poeta canadese: "Anthem", ("Inno"), appunto.
"La luce, è la capacità di riconciliare la tua esperienza, il tuo dolore, con ogni giorno che albeggia.
E' quella comprensione che va al di là del significato, che ti consente di vivere la vita e accettare i disastri , i dolori e le gioie che sono il nostro comune destino.
Ma ciò può accadere solo riconoscendo che c'è una crepa in ogni cosa.
Credo che tutte le altre visioni siano destinate a un pessimismo irreparabile"

Potremmo chiamarlo nichilismo.

Ci affascina sempre più Leonard Cohen, scomparso nel 2016, a ottantadue anni.
Un artista a tutto tondo, poeta e song writer, ha attraversato tutta la stagione della New York dei poeti della 'nouvelle vague', 'la beat generation' del Greenwich Village, fucina di giovani utopisti che nella musica trovavano un' occasione di riscatto sociale, in un mondo che stava rivoluzionando il quotidiano, non senza contraddizioni e disorientamenti, ma con al fondo un desiderio profondo di protagonismo positivo, recuperando e valorizzando le tradizioni musicali folk dell'America dei non integrati. 
Non è un caso che da lì esploderà il fenomeno Bob Dylan.

Cohen è già tra i più maturi e profondi: di origini ebree, i suoi testi, però attingono anche ai Vangeli.
La sua poetica ispirerà i nostri De Andrè e De Gregori, insieme naturalmente all'immancabile Dylan.

Negli anni ottanta vivrà in un monastero buddista all'interno della metropoli newyorchese, ritornando poi sulla scene una decina di anni dopo e pubblicando negli ultimi anni della sua vita una trilogia di album in cui medita sul senso del vivere fissando lo sguardo sul traguardo ultimo, affidandosi ad un oltre trascendente.

Nel 1992, anno di pubblicazione di "Anthem" afferma:
"La situazione difficile che stiamo vivendo, il futuro che non lascia speranze, sono solo scuse per abdicare le nostre responsabilità.
Noi abbiamo dimenticato il mito centrale della nostra cultura: la cacciata dall'Eden e tutto ciò che ne è derivato. Una conseguenza che ci costringe all'imperfezione (...)
Il nostro amore è imperfetto.
E peggio, c'è una crepa in ogni cosa (...) ma è proprio lì che la luce entra e permette la resurrezione, è lì che nasce il confronto con le cose che si rompono e il pentimento." 

Forse, quella crepa attraverso la quale passa la luce è come il lucernario di Wittgenstein, citato da Julian Carron e Mikel Azurmendi.
Forse a Cohen è mancato l'abbraccio decisivo in cui si è imbattuto il filosofo basco. Chissà ....
Noi lo ringraziamo per l'abbraccio delle sue canzoni.

INNO

"Cantavan gli uccelli al levar del dì
Ricomincia da capo li sentii dire
Non indugiare su quel che è stato o che ancora non è
Saranno le guerre combattute ancora
La sacra colomba verrà catturata ancora
comprata e venduta
e comprata ancora
la colomba mai libera non è.

Suonate la campane che possono ancora suonare.
Dimenticate la vostra offerta perfetta
c'è una crepa in ogni cosa
è così che entra la luce

Potete sommare le parti
ma non avrete il tutto.
Potete attaccare la marcia
non c'è il tamburo.
Ogni cuore, ogni cuore
verrà all'amore
ma come un fuggiasco

(...) C'è una crepa in ogni cosa
c'è una crepa in ogni cosa"


















  

Commenti

I più letti

La costruzione di un amore - Ivano Fossati

Il Carmelo di Echt - Giuni Russo

Alessandro - Enrico Ruggeri