Gildo - Giorgio Gaber

"In una parola: non si sfugge al dilemma dell' essere uomini.
Chi pretende di sfuggire all'incertezza della fede dovrà fare i conti con l'incertezza dell'incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza, se la fede non sia realmente verità.
E' proprio nel rifiuto che si rende visibile l'irrefutabilità della fede.
A questo punto potrà forse risultare opportuno ascoltare un racconto ebraico, riportatoci da Martin Buber, nel quale il dilemma dell'esistenza umana sopra enunciato affiora in tutta la sua evidenza.
' Uno degli illuministi, uomo assai erudito che aveva sentito parlare del rabbi Berditchev, andò a fargli visita, per disputare come al solito anche con lui, nell'intento di fare scempio delle retrive prove da lui apportate per dimostrare la verità della sua fede. (...)
Il rabbino Levi Jizchak si volse però completamente a lui, rivolgendogli con tutta calma le seguenti parole: Figlio mio, i grandi della Torah, con i quali  tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra.
Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo regno;
ora neppure io sono in grado di farlo.
Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero.
L'illuminista fece appello a tutte le sue energie interiori, per ribattere; ma quel tremendo 'forse', che risuonava ripetutamente scandito ai suoi orecchi, aveva spezzato ogni sua velleità di opposizione.' 

Penso che qui - nonostante la stranezza della veste esteriore - sia descritta con molta precisione la situazione dell'uomo di fronte al problema di Dio.
Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo regno, nemmeno il credente a se stesso.
Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l'incredulità, a essa resta sempre appiccicata addosso l'inquietudine del 'forse però è vero'.
Il 'forse' è l'ineluttabile tentazione alla quale l'uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne irrefutabilità.
In altri termini: tanto il credente quanto l'incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza.
Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede;
per l'uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l'altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio.

E' la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell'esistenza unicamente in questa interminabile rivalità tra dubbio e fede, fra tentazione e certezza.
E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l'uno quanto l'altro dalla chiusura del proprio isolazionismo, non divenga luogo della comunicazione.
Esso infatti, impedisce ad ambedue gli interlocutori di barricarsi completamente in se stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente.
Per il primo rappresenta una partecipazione al destino dell'incredulo, per il secondo una forma sotto cui la fede resta - nonostante tutto - una provocazione permanente."
(da Joseph Ratzinger, "Introduzione al Cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico." ed. Queriniana)

"A 'Gildo' sono affezionato in modo particolare, sia per l'efficacia emotiva che riusciva ad avere in teatro, sia per la canzone in sé, per il suo significato che si può estendere anche al nostro modo di socializzare oggi.
In strada in mezzo agli altri, in autobus, in un condominio dove non conosci neanche quelli della porta accanto, in uno stadio insieme ad ottantamila persone, in una spiaggia gomito a gomito con tutti, a volte persino in una famiglia - insomma in questa nostra vita, diciamo pure, moderna -, tutto quello che accade si potrebbe chiamare 'la solitudine dell'uno accanto all'altro.
Invece, è strano ma è così, insomma in tutte quelle situazioni di disagio in cui sei costretto a condividere la tua quotidianità con persone diversissime da te, che non hai scelto ma che ti sono capitate, ecco, in questi casi possono accadere dei piccoli miracoli che hanno a che fare con il senso più vero e profondo della parola 'solidarietà' "

Come al solito si rimane affascinati da come Sandro Luporini, anarchico toscano, classe 1930, autore di tutti i testi dell' insuperabile "Teatro Canzone", letteralmente inventato insieme a Giorgio Gaber, si giochi nel racconto delle sue esperienze, partendo da una umanità sorprendente e di come, quasi in osmosi, lasciato che tutto ciò abbia coinvolto e sia stato appassionatamente rappresentato dall'artista milanese.
"Dicevo, 'Gildo' nasce da quella mia esperienza in ospedale.
Tutto il resto lo racconta la canzone: dal rapporto tenero e inusuale con uomo che nella vita non avrei ma incontrato, al silenzio cupo di quando ti muore un uomo accanto, a quel rigurgito vitale necessario per tornare all'esistenza e accorgerti che fuori dalle finestre delle corsie il cielo è azzurro. (...)
Devo dire che Giorgio, in questo brano ha dato il meglio di sé. Posso dirlo davvero che è un piccolo capolavoro senza sembrare sfacciato perché con la musica non c'entro. (...)
Grazie, Giorgio."

Sono parole di Luporini, sempre tratto dal libro "G. Vi racconto Gaber"(Arnoldo Mondadori, 2012), volume indispensabile per conoscere di più la storia di un evento culturale e teatrale che per decenni ha attraversato i palcoscenici italiani.
Ma ascoltiamo anche Gaber:
"Non ci sono poi tante differenze fra un laico e un cattolico.
Non vedo questa grande frattura. Io sono laico, nel senso anche di cattolico non praticante, ma ho un bisogno di rigore e di morale che non sento assolutamente inferiore a quello di un cattolico. (...)
In ogni uomo c'è voglia di conoscere, di capire, perché nel desiderio di conoscere c'è voglia di vivere. (...)
Questa tensione verso il mistero, che sembra irrisolvibile, è la cosa più bella che possiede l'uomo, ed è la sua grande forza.
Se qualcuno cerca di darmi una risposta precostituita e dogmatica mi toglie il gusto di vivere. (...)
Perché quando uno dice: 'Ho trovato, 'crede' di aver trovato, ma non trova mai. (...)
Il cerchio non si deve chiudere, altrimenti non mi diverto più."

Sono tutte frasi di Gaber pronunciate negli anni '90, all'apice di un percorso umano e artistico.
E, forse, 'Gildo', del 1981, fa da spartiacque nella parabola "gaberiana".
Come scrive Andrea Pedrinelli, giornalista musicale e autorevole biografo dell'artista, in "Non fa male credere":
"Perché 'Gildo' ci appare oggi tanto importante per capire a fondo l'opera di Gaber?
Perché oltre un'esperienza come quella del dolore, commisurata da Gaber su se stesso e non cantata dal di fuori, nulla poteva esserci ancora di più incisivamente umano da affrontare leggendo la realtà. (...)
Dopo 'Gildo', infatti, e non ci pare cosa da poco, anche la celeberrima 'libertà' di Gaber, per anni, considerata come la sua più elevata conquista di pensiero, trovò nuove e più solide fondamenta."

Vivendo, attraverso le canzoni scritte con Luporini, una coppia di splendidi illuministi, quell'inquietudine di fronte a quel "forse, è vero", del rabbino citato da Ratzinger.





Commenti

I più letti

La costruzione di un amore - Ivano Fossati

Il Carmelo di Echt - Giuni Russo

Alessandro - Enrico Ruggeri