Dodici note - Claudio Baglioni

"Malinconia. In questa parola ci riconosciamo tutti, in questa verità di attesa misteriosa facilmente ci riconosciamo tutti.
L'essenza del cuore dell'uomo è rapporto con la felicità attesa, di cui non si conosce nè l'ultima natura, nè il nome.
Attesa di un compimento a cui noi diamo un nome: Dio.
 (...)                                                                                                                                                                La tristezza è la capacità dell'uomo che aspira all' Infinito.
L'assenza di tristezza è la banalità di una 'mens' quasi 'scema', spoglia di pensieri e di dignità, che nega l'esistenza di ciò cui il cuore aspira.
Il cuore dell'uomo, cioè la natura dell'essenza dell'io, è questa aspirazione.
Dio ha fatto l'uomo per il bene, per la felicità; perciò il cuore dell'uomo inevitabilmente sente come anima e come istigazione a ogni ricerca, a ogni mossa, questa tensione ad un compimento."

Queste sono riflessioni di don Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, tratte da l'introduzione ad una raccolta di canzoni napoletane tradizionali scelte proprio dal prete brianzolo. (da "Spirto gentil", Bur Rizzoli, 2011)
"Giussani imparò in famiglia a riconoscere nella musica una via privilegiata di percezione del bello come splendore del vero, capace di suscitare e tenere vivo il desiderio della 'Bellezza infinita', riconoscendovi così una modalità eccezionale attraverso cui il Mistero parla al cuore dell'uomo.
Trasmettere ai giovani e agli adulti questa esperienza tanto decisiva lo spinse a utilizzare sistematicamente l'ascolto della musica come strumento privilegiato per l'educazione."

Tanto che, a partire dal 1997, per ben tredici anni curò una collana di cd dedicati alla musica classica e alle più sincere espressioni di canti popolari.
Tutte le sue introduzioni e i contributi di esperti musicologi sono poi state pubblicate in unico volume, dal titolo della stessa collana: "Spirto Gentil", dalla cui quarta di copertina abbiamo tratto il virgolettato precedente.

"Non so se nelle mie canzoni più recenti, riguardo al tempo che passa, ci sia più malinconia o consapevolezza, non so neppure se è frutto degli anni che passano.
Si comincia  a pensare non tanto alla morte ma al finale di una storia.
Bisogna cominciare a fare un pò di conti, nel senso che il finale è un punto di riferimento.
Ma per fortuna che ci sono i finali altrimenti nessuna storia avrebbe la sua dinamica."

Così Claudio Baglioni rispondeva, nel 1998, a Giampaolo Mattei, nell'ampiamente citato in queste "stanze", il bel libro "Anima mia" (ed. Piemme, 1998)
Già più di vent'anni fa il cantautore romano, quindi, dava una ragione ad una predominanza di testi nelle sue canzoni che riguardasse il ripensare il suo percorso artistico parallelamente a quello umano e interpersonale.
"In questa storia (che è la mia)", il suo lavoro discografico, pubblicato alla fine del 2020, a ridosso del settantesimo anno di età, dopo cinquant'anni abbondanti di carriera, è decisamente, la conferma di questa ispirazione che coinvolge sia la composizione musicale sia il tema dei testi.

La produzione del "divo Claudio" è sempre stata oggetto, fin dall'inizio, di interpretazioni critiche eterogenee, tra detrattori e fedelissimi, lasciando poco spazio a mediazioni opportune.
Si può affermare che la sua parabola artistica ha, negli anni, avuto evoluzioni importanti, con punte compositive e poetiche, anche notevoli, su temi come la vecchiaia, la solitudine, la violenza, il rapporto genitore e figlio (che a sua volta diventa genitore) quello tra uomo e donna sempre più tormentato e complesso.
E, che queste canzoni, possano avere la stessa forza espressiva, esplicitata dal grande catalogo canoro della tradizione napoletana, a cui faceva riferimento don Giussani.

In "Dodici note" che conclude il suo album del 2020, Baglioni, anche senza accennarlo esplicitamente, ci sembra che riassuma la sua storia di cantore dei sentimenti più intimi, depositandola davanti ad un'entità più alta. quasi offrendola come povera cosa, identificandola con la propria vita, quasi un suo ultimo gesto del percorso umano, definitivo.
"Se credo in Dio? Penso di credere se non altro nel mio assoluto bisogno di cercare.
Credo nella ricerca più che nel fatto che Dio esista punto e basta.
Credo anche nei grandi momenti di dubbio: ci sono momenti in cui credo oppure penso che non stia facendo tutto per credere in Dio e così anche il mio comportamento non sia adeguato, intonato, a questo bisogno dell'esistenza di Dio.
Non si può capire tutto, chi ha capito tutto è morto. (...)
Di tanto in tanto confesso di aver avuto cadute, di essermi smarrito, di aver perso, non il senso religioso, quello infatti c'è sempre, quanto piuttosto il senso dell'indirizzo di questo mio essere religioso" 
(cit. sempre da "Anima mia")

Insomma, la consapevolezza che "quel gancio in mezzo al cielo" esista veramente.




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