In prigione in prigione - Edoardo Bennato

"Chiunque di noi può cadere vittima del meccanismo del meccanismo infernale della gogna, ma allo stesso tempo chiunque di noi ne può essere artefice o spettatore passivo.
Alimentiamo la gogna quando partecipiamo alla vasta opera collettiva di colpevolizzazione anticipata nei confronti di indagati e imputati.
Quando postiamo sui social network dei commenti indignati in cui chiediamo di sbattere qualcuno in galera e di buttare via la chiave.
Quando acquistiamo giornali o guardiamo programmi televisivi che traggono la loro linfa vitale dalla diffusione di accuse ancora da accertare e di dettagli intimi delle vite private delle persone coinvolte.
Quando diamo credito ad esponenti politici che, pur di raccattare una manciata di voti in più, non esitano ad esprimersi su vicende di cronaca sventolando la forca.
Alimentiamo la gogna quando di fronte ad una notizia di una persona indagata o arrestata, nella nostra mente si fa spazio un pensiero. 'Beh, però se i giornali e tv ne parlano, qualcosa avrà fatto"


Le parole che abbiamo citato, fanno parte della introduzione scritta da Ermes Antonucci, autore di un agile ed interessante volumetto dal titolo "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021), nel quale, l'autore,
giornalista di cronaca giudiziaria e studioso di storia della magistratura e delle istituzioni giudiziarie, racconta le storie di volti noti e meno noti per far capire ai suoi lettori cosa significa essere vittima del circo mediatico - giudiziario.

"Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima (...). Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro: 'Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque, e mettetelo subito in prigione'
(da "Le avventure di Pinocchio" di Carlo Collodi)
Terribile questo 'dunque': 'Ho sentito la tua storia, mi ha perfino commosso, - dunque, perciò, proprio perché è innocente -mettetelo in prigione"
Il commento lapidario al brano della favola di Collodi è di Franco Nembrini, insegnante bergamasco di lungo corso e gran divulgatore attraverso prestigiose pubblicazioni e presentazioni televisive della dantesca "Divina Commedia".
Occupandosi questa volta della popolare fiaba italiana nel libro "L'avventura di Pinocchio. Rileggere Collodi e scoprire che parla della vita di tutti" (Centocanti s.a.s., 2017), Nembrini continua così la sua riflessione:
"Tutti siamo in qualche modo giornalisti , perché in qualche modo usiamo le informazioni e le comunichiamo.
Tutti siamo in qualche modo insegnanti ed educatori, tutti esercitiamo qualche potere.
La storia di Pinocchio qui mette a tema la responsabilità che ciascuno di noi ha di fronte agli altri, di fronte alla convivenza, di fronte al problema della giustizia.
Il male c'è, il male lo facciamo tutti.
La cosa straordinaria che impareremo dalla vicenda di Pinocchio è che la pretesa degli uomini di far giustizia ha senso soltanto se c'è davvero una Giustizia con la G maiuscola. (...).
Perché alla fine l'asservimento a qualche padrone e ai suo interessi è inevitabile.
Se la verità non c'è è tutto uguale. Se Dio non esiste è tutto uguale, se la verità non c'è, non c'è il bene e non c'è nemmeno il male.

Non c'è niente da punire per legge, se non quello che va contro il mio interesse, e quindi la vita diventa una guerra 'homo homini lupus', ciascuno di noi lupo per gli altri."

Nei suoi commenti alla storia del burattino collodiano, Nembrini ammette di essersi ispirato a quella lettura "teologica" così sorprendente, che, diversi decenni prima, quaranta, per la precisione, aveva visto protagonista un lucido e vivacissimo uomo di Chiesa come il Card. Giacomo Biffi, milanesissimo, che per lungo tempo occupò la cattedra arcivescovile di Bologna.
Abbiamo già raccontato in queste "stanze" come, nel 1977, Biffi vide pubblicato il suo saggio, "Contro maestro Ciliegia" (ed. Jaca Book), proprio quando sul mercato discografico, Edoardo Bennato, cantautore dalla vena blues e dalla puntuta critica di ispirazione anarchica sulla realtà sociale, licenziava con gran successo, l'album "Burattino senza fili".
E che, sorprendentemente, (o forse no), i testi di quelle canzoni, pur venendo da una tradizione culturale ben diversa, si incrociassero con l'esposizione "teologica" e con le alcune conclusioni dell'uomo di Chiesa, come, per esempio, accade nel brano "In prigione, in prigione":
"Quanto alla voglia di gogna, è vero, oggi è molto forte, ma era già ben presente nel libro di Collodi.
E' emblematica la scena in cui Pinocchio va dal giudice, che è un vecchio scimpanzé.
Una situazione kafkiana, surreale, così come la situazione italiana, quella del 1977, ma anche quella attuale. Un Paese geneticamente squilibrato: quelli che l'hanno fatto - Cavour, Mazzini, Garibaldi - sono eroi (...), quelli che l'hanno governato dopo sono considerati dei fetenti.
C'è qualcosa che non torna se da 150 anni chi si prende l'onere di governare il paese viene ricordato come un malfattore: forse sono alibi alla nostra superficialità, alla nostra mancanza di partecipazione, inettitudine, pigrizia."
Sono parole tratte da un'intervista rilasciata da Edoardo Bennato nel 2017 al sito Ondarock.it, nell'occasione della pubblicazione "aggiornata" di "Burattino senza fili".
E se, alla fine il cantautore napoletano conclude così:
"Ora tutto quello che ho detto prendetelo con il beneficio di inventario, perché sono un 'pazzaglione', uno squilibrato, un cane sciolto a cui è concesso di dire tutto ... nel nome del rock'n'roll", è indubbio che il rock che ci piace è proprio quello che si confronta con la realtà e il suo (M)istero.




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