Figli della borghesia - Brunori sas

"(oggi) I valori nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più.
Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità, non contano più. (...)
A sostituirli sono i 'valori' di un nuovo tipo di civiltà, totalmente 'altra' rispetto alla civiltà agricola, questa esperienza è stata fatta già da altri Stati.
Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima 'unificazione' reale subita nel nostro paese. (...)
Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno a 'tempi nuovi', ma ad una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche.
Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico.
Essi sono diventati in pochi anni (specie al centro sud)un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo.
ma naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla.
Io purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi in opposizione disperata a essi), sia fuori degli schemi populisti e umanitari.
Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere.
Ho visto dunque 'coi miei sensi' il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino ad una irreversibile degradazione.".

E' il primo febbraio 1975 e "il Corriere della Sera" pubblica in prima pagina un complesso e lungo articolo di Pier Paolo Pasolini, famoso per le riflessioni sulla 'scomparsa delle lucciole' in Italia.
Pasolini collaborò in quegli anni con il quotidiano milanese 'organo' della borghesia italiana, proprio come coscienza critica, voce 'fuori dal coro'.
Naturalmente, l'invito è andare a rileggersi interamente l'intervento (si trova in rete), ricordando un altro scritto di Pasolini, insieme all'altro famoso dal titolo "Studenti, figli di papà, io sto con i poliziotti ..."
pubblicato su "Nuovi argomenti" nell'aprile del 1968 all'indomani dei disordini nel quartiere romano di Valle Giulia, che iniziava così:
"Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo: siete paurosi, incerti, disperati (benissimo!), ma sapete anche come  essere prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccolo - borghesi, amici"

Parole forti, scritte in un particolare momento storico, imperative, senza sconti scritte da un poeta, scrittore e cineasta dalla tradizione marxista ( e abbiamo ben presente cosa voleva dire essere comunista nell'immediato dopoguerra) ma discriminato dal suo stesso gruppo dirigente e allontanato per la sua omosessualità.
Ma attenzione a quello che scriverà sulla condizione della società italiana un'altra voce critica, un'altra voce fuori dal coro, che prese il testimone da Pasolini dopo la sua morte violenta, proprio sul "Corsera". 
Era Giovanni Testori, gran lombardo, scrittore e drammaturgo, anche lui omosessuale che approdò dopo drammatiche vicende nell'abbraccio del cattolicesimo più carnale:
"Più ci attardiamo a meditare e più questo popolo composto da operai, artigiani, piccoli imprenditori, impiegati, professionisti, maestri, sacerdoti, studenti, madri di famiglia, bambini, giovani, adulti, anziani ormai fuori dai termini del lavoro, malati, disoccupati, diseredati, ci sembra soffocato e quasi strozzato da due terribili ombre.
Sono quelle ombre, i due freddi, astratizzati poteri della politica e della cultura; poteri che essendosi completamente allontanati e separati da quel corpo, presumono di poterlo ancora rappresentare, dirigere e nutrire, ma che in verità, si limitano ad usarlo, dissanguarlo e snaturarlo."
(da "Questo popolo" Corriere della Sera, 7 ottobre 1979)

"Figli della borghesia è un brano emozionante. Un bozzetto che avevo da sempre ma non avevo mai trovato una collocazione.
L'inizio ce l'avevo: Siamo figli della borghesia, affezionati alla bigiotteria, siamo i tappeti persiani ficcati sotto i divani. 
Però aveva aveva un sapore molto anni settanta, alla maniera dei cantautori di una volta, alla Lucio Dalla per capirci, ma qui ci stava bene perché alla fine quello del cantautore è il filo rosso che lega tutto, ci gioco per tutti i brani, fino ad impersonare fino in fondo il ruolo, è un modo di raccontare non solo le difficoltà del cantautore, ma quella di un'intera generazione a trovare le misure per vivere nella contemporaneità."

Il 9 Gennaio 2022, intervistato da  Gino Castaldo di Repubblica, Brunori presenta un suo mini cd (cinque canzoni) in cui il cantautore cosentino si conferma un dichiarato emulo di quella corrente musicale e non solo dal suo modo di cantare e dalla costruzione compositiva "tradizionale", composta da autori dalla visione corrosiva, spiazzante, sarcastica che rispondevano ai nomi di Giorgio Gaber, Lucio Dalla e soprattutto Rino Gaetano.
"Cheap", così si intitola l'intero mini album, tra denunce e satira sui 'tic' culturali (Ode al cantautore ricorda nella tematica il "Cantautore" di Edoardo Bennato), vede alla fine spuntare l'intensa "Figli della borghesia", voce e pianoforte, un quadro sofferto sulla situazione quotidiana della generazione italiana tra luoghi comuni, attese e delusioni, con un finale accorato e nello stesso tempo pieno di rassegnato e desolato disincanto:
"E siamo liberi di fare quel che ci pare, quando fare quel che ci pare, in fondo, nessuno sa cos'è"

E si ritorna a Pasolini:
"Manca sempre qualcosa, c'è un vuoto in ogni mio intuire.
Ed è volgare, questo non essere completo ,è volgare, mai fui così volgare come in questa ansia, questo
'non avere Cristo' - una faccia che sia strumento di un lavoro non tutto perduto nel puro intuire in solitudine"




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