Povera Patria - Franco Battiato

"Quando, la mattina, saliamo sui treni, c'infiliamo nel metrò, o attraversiamo le strade per recarci ai luoghi di lavoro (...) quando la sera, riattraversiamo le strade (...) per tornare nelle nostre case; e quando, infine, prima d'addormentarci sentiamo salire attorno a noi il respiro caldo, dolente eppur carico di speranza del sommesso ed immenso corpo di vita che ci circonda, il primo gesto che ci vien da compiere è ringraziare Dio per averci fatto nascere proprio qui, proprio in mezzo a queste strade (...) proprio dentro a questo corpo; e d'averci concesso un'altra giornata, perché potessimo tentare d'essere, di quel corpo, parte convinta, attiva e fedele. (...)
Più ci attardiamo a meditare e più questo popolo composto da operai, artigiani, piccoli imprenditori, impiegati, professionisti, maestri, sacerdoti, studenti, madri di famiglia, (...) malati, disoccupati e diseredati ci sembra soffocato e quasi strozzato da due terribili ombre (...) astrattizzati poteri della politica e della cultura; due poteri che, essendosi completamente allontanati e separati da quel corpo, presumono di poterlo ancora rappresentare, dirigere e nutrire; ma che, in verità, si limitano ad usarlo, dissanguarlo e snaturarlo. (...)
In effetti questo povero, grande popolo ha resistito a tutto. (...)
Ha patito e sopportato l'inganno e il latrocinio eretto a sistema."
(da "Questo popolo" articolo di Giovanni Testori, Corriere della Sera, 7 Ottobre 1979)

Parole durissime, queste, in prima pagina dell'autorevole quotidiano milanese, di Giovanni Testori, chiamato in quegli anni ad essere "coscienza critica" sull'attualità non solo italiana, solcata dai drammi del terrorismo brigatista e delle stragi di Stato, "l'oscuro e onnivoro polipo che è la mafia" "i fiumi, le acque e i laghi inquinati, l'aria e i cieli" (sono tutte espressioni di Testori tratte dall'articolo).
E sopra tutto la crisi culturale e politica, di un popolo ridotto "da presenza attiva a presenza passiva".
Insomma, quel giorno, a chi lesse quelle righe sul Corriere della Sera si parò davanti uno scenario plumbeo, eppur reale del tessuto sociale in cui viveva la quotidianità italiana, quasi una strada di non ritorno. 

Sorprendentemente, undici anni dopo, nel 1991, Franco Battiato, un artista dalla cultura ben diversa dallo scrittore lombardo,(Testori si riconcilia con quella cattolica, mentre il cantautore siciliano esplora sempre più la "via" sincretista) pubblica un brano, forse il più "politico" di tutto il suo catalogo, che riflette sugli argomenti trattati da Testori con la stessa durezza ultimativa, usando lo stesso aggettivo per descrivere la condizione del popolo italiano: povero.
Il brano si intitola "Povera Patria" ed è inserito in un album molto particolare "Come un cammello in una grondaia" nel quale si alternano versioni cameristiche di brani di Beethoven, Brahms, Wagner, e inediti dello stesso Battiato omogenei al progetto discografico
Ormai la parabola del cantautore siciliano, quella delle finte canzonette "acchiappa audience" si sta esaurendo (i primi segnali si erano notati già nell'album precedente "Fisiognomica"); Battiato abbandona la semplicità dell'immediatezza compositiva e l'ironia paradossale dei testi che l'avevano fatto conoscere al grande pubblico delle hit parade, per avvicinarsi ad una produzione più meditativa sia musicale che letteraria.
Grazie all'apporto orchestrale guidato da Antonio Ballista e al fido Giusto Pio confeziona un long playing  che fa da spartiacque verso la sua futura discografia che cambierà di nuovo divagando tra episodi elettrici immersi nei testi criptici del filosofo Sgalambro ed improvvisi capolavori, non curandosi del piacere a tutti i costi nell' easy listening da alta classifica.
"Povera Patria" è tutta sua, parole e musica, una specie di "lieder" moderno con un testo di denuncia che lo vedrà citato e tirato per la giacca dai comunicatori mediatici e televisivi di ogni colore politico. Un brano che, pubblicato nel '91, anticipa i giorni drammatici delle stragi di mafia e le vicende di Tangentopoli con relativa crisi della Prima Repubblica e l'avvento della turbolenta Seconda:  
Affermerà a ridosso dell'uscita del disco:      
"Se ho scritto 'Povera Patria' è perché sono coinvolto. Ogni sera guardare il Telegiornale è una sofferenza, a meno che non si resti indifferenti a questo passare, che so, da Riccardo Muti ai morti ammazzati. Quella che una volta poteva essere una caratteristica simpatica del popolo italiano, oggi diventa infame; quando ancora non c'era questa barbarie, l'italiano che pensa a sé stesso era in fondo un individualista e va bene. Oggi è insopportabile. Basta col tirare a campare: si richiede un intervento al cittadino di solidarietà civile, non si può più restare indifferenti"

Quando ormai le conseguenze delle crisi politiche e sociali sono ben presenti, confessa:
"Questo Paese mi sta deludendo molto. Vedo vigliaccheria, oscenità, malvagità.
E la televisione? Ci vanno per insultare e per demolire il proprio antagonista di carriera o di vita: vince chi urla di più. Mi consola il fatto che per strada resista un ceppo di italiani saggi. Ho fiducia nelle persone che nelle istituzioni. Assolutamente."
(da un'intervista del 1997 sulla "Gazzetta dello Sport")

Sono passati decenni sia dall'articolo di Giovanni Testori sia da "Povera Patria" di Franco Battiato e visto quello che sta accadendo nell'intero mondo alla deriva tra violenze, guerre e crisi delle democrazie non ci resta che leggere il finale dei loro contributi:
" ... sì da permettere che si verifichi una situazione in cui finalmente questo popolo abbia la possibilità di creare la propria voce reale e la propria reale forma di vita, che sono poi le sole voci e le sole forme che desidera e in cui riuscirà veramente a incarnarsi e ad esprimersi" (Testori)
"Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali / che possa contemplare il cielo e i fiori / che non si parli più di dittature / se avremo ancora un pò da vivere / la primavera intanto tarda ad arrivare .
Si che cambierà / vedrai che cambierà." (Battiato)     




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