Il panorama di Betlemme - Francesco De Gregori

"Mi chiamo Roy Chen, sono uno scrittore e drammaturgo israeliano, nato e cresciuto a Tel Aviv. (...)
Sabato scorso centinaia di terroristi di Gaza hanno invaso Israele e massacrato persone innocenti.
Non hanno sparato ai soldati, hanno sparato a giovani, giovani che ballavano ad una festa, a una coppia di genitori seduti a fare colazione in famiglia, a vecchi che uscivano a lavorare nell'orto.
Decine di israeliani sono stati rapiti. I rapitori a volto scoperto, con orribile orgoglio, hanno caricato su Internet i video dei rapimenti. Molti israeliani hanno scoperto che i loro cari erano stati rapiti da Facebook, Telegram e dalle notizie in tv. (...)
Ho molta paura. Sono spaventato a morte. Qualcosa in me è morto. La sera in cui Rabin fu assassinato da un ebreo di destra nel 1995, ero in piazza. Tutto era diverso. Avevo i capelli lunghi, cantavo canzoni sulla pace e poi tre spari hanno fermato tutto.
Sapevamo tutti che il Paese non sarebbe stato lo stesso.
Anche adesso lo so: Israele non sarà più lo stesso. (...)
Ci sono troppi perdenti in questa storia. C'è troppo Dio e troppo Allah.
Se guardate le foto che passeranno i notiziari, non sono sicuro che saprete dire chi è il palestinese e chi israeliano, sembriamo fratelli.
Del resto anche Caino e Abele erano fratelli.
Quando ero giovane ho incontrato i giovani di Gaza. Volevamo un futuro diverso.
Ma non abbiamo fatto abbastanza, non è stato sufficiente. (...)
Chissà, proprio tu che adesso stai leggendo ti ritroverai sulle barricate.
Forse, a pensarci bene, questa è proprio la domanda che ognuno di noi dovrebbe farsi: ho fatto abbastanza?"
(da "Siamo come Caino e Abele" di Roy Chen, "LA STAMPA", 11 Ottobre 2023)

Parole chiare, inequivocabili, quelle di Roy Chen, scrittore e drammaturgo israeliano, artista, quindi, non uomo di guerra. Parole che vanno dritte alla questione della terribile escalation del dramma bellico israelo/palestinese: una infinita guerra, una strage tra fratelli!

"L'idea di una canzone su Betlemme ce l'avevo da un sacco di tempo. Ogni anno facciamo il nostro presepe e citiamo un luogo in cui oggi non abbiamo più cognizione, la Betlemme di oggi quando la sentiamo nominare non ha più riferimenti con la Betlemme mitologica che ogni anno evochiamo come luogo di nascita del cristianesimo, della pace. Nella canzone invece c'è questo soldato (è indifferente che sia israeliano o palestinese) che si trascina nella sabbia ferito. (...)
Oggi a Betlemme cadono soldati, si trascinano sulla sabbia. Non nasce un Salvatore." (...)
Era quasi inevitabile scrivere una canzone sulle guerre di oggi ambientandola a Betlemme. (...)
"Il panorama di Betlemme" è un brano storico che ha diversi significati: natalizio, religioso, politico, la Palestina, la pace, il terrorismo. Betlemme è luogo fortemente simbolico, la canzone si è quasi scritta da sola. (...)
C'è la banalità della morte di un uomo banale, il quale nel momento della fine si occupa di cose banali, rivolgendo a Dio parole banali. E' una canzone  sulla banalità e sui deliri di onnipotenza, oltre che un brano sulla stupidità della guerra."
Francesco De Gregori è un artista (definirlo cantautore è effettivamente riduttivo, ma se capita è per semplificare), la cui produzione ha spesso incrociato il tema della canzone "civile". Rispetto ai suoi illustri e onorati colleghi della stessa cultura "di sinistra" (quella nobile) si è sempre distinto per un "di più" di complessità, non affidandosi a slogan nei testi delle sue composizioni trattando la storia degli ultimi cinquant'anni, anzi, rimproverandosi se accade di correre il rischio.
L'intercettare temi universali in maniera profetica e profondamente umana è prerogativa dei comunicatori onesti e seri con sé stessi e con il pubblico che ascolta e partecipa.
Così con "Il panorama di Betlemme", brano contenuto nell'album "Pezzi" del 2005.
Disco maturo, colmo di canzoni legate all'attualità e alla storia delle guerre che hanno insanguinato e ancora insanguinano questo povero mondo, usando testi sferzanti, cantore di un realismo poetico poco ottimista, ma con profondità di pensiero non nichilista.
Il brano è sostenuto da un piglio decisamente rock, che De Gregori ha affinato negli ultimi decenni, soprattutto nei live: si può apprezzare una frase di chitarra elettrica ispirata al mood inconfondibile dei Dire Straits di Mark Knopfler, forse con la voglia di legarsi alla grande tradizione del rock angloamericano più classico.
Un esempio di come l'arte (quella letteraria della parola scritta come quella rock più "serio") può trattare i temi più drammatici non aggrappandosi alla scorciatoia del mainstream populista.
E anche in questo caso De Gregori non tradisce.  




Commenti

  1. Grande Carlo per in grande Francesco in un dramma di tutti noi. Grazie

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