Born in chains / You want it darker - Leonard Cohen

da "I limoni" in "Ossi di seppia" di Eugenio Montale

"Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s'abbandonano e sembrano vicine /
a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta /
di scoprire un sbaglio di Natura / il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, /
il filo da sbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità /

Lo sguardo fruga d'intorno / la mente indaga accorda disunisce /
nel profumo che dilaga / quando il giorno più languisce. /
sono i silenzi in cui si vede / in ogni ombra umana che si allontana /
qualche disturbata Divinità / Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo /
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra / soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. /

La pioggia stanca la terra di poi; s'affolta / il tedio dell'inverno sulle case, /
la luce si fa avara - amara l'anima. /
Quando un giorno da un malchiuso portone /
tra gli alberi di una corte / ci mostrano i gialli dei limoni; /
e il gelo del cuore si sfa, / e in petto si scrosciano /
le loro canzoni / le trombe d'oro della solarità."

Commentando questa poesia di Montale, la giornalista ed inviata Rai, Monica Maggioni, in un incontro sulla figura biblica di Giobbe, nell'edizione del 2018 del Meeting di Rimini, così interviene:
"Perchè questo Montale che, tentando di non vedere, di non credere, di non riconoscere, poi si accorge che c'è un anello che non tiene nella natura, c'è una spaccatura, c'è questo giallo dei limoni che rivela qualcosa che c'è oltre, un altro e un oltre?
'C'è una crepa in ogni cosa e da lì passa la luce' dice un altro grande poeta contemporaneo, Leonard Cohen. Ma proprio perché i poeti sembrano ad un certo punto intuire il nesso fra le cose meglio di chiunque altro considerano Il libro di Giobbe sconvolgente.
E cito un altro grande poeta Mario Luzi: "Giobbe non vuole né cessa mai di credere e di essere devoto a Jahvè, nonostante le prove e le persecuzioni. Resiste a tutto questo perché vuole un Dio con cui si possa parlare. Non è più l'onnipotente, ma l'onni-fraterno e l'onni-intelligente.
Ci sono interferenze nel testo, ma la linea è questa : la ricerca del colloquio con Dio e la richiesta che Dio non si pavoneggi della sua grandezza."

"Viviamo in mondo che non è perfettibile. Ma c'è la consolazione di non avere una via d'uscita.
Invece di guarire la ferita, trovare la medicina che funziona o la religione giusta, c'è saggezza nel sapere che non c'è scampo dalla volontà di Dio.
E' la nostra condizione e l'unica consolazione sta nell'accettarla."

E' il 1993, e Leonard Cohen risponde così durante l'ultima intervista prima di salire al monastero buddhista di Mount Baldy, dove rimarrà nel silenzio e nella meditazione, per qualche anno
Cohen è già un sessantenne celebrata star, icona della canzone americana d'autore al pari di Bob Dylan.
Con lui ha vissuto gli anni della beat generation nella "comune" newyorkese del Greenwich Village.
Di origini canadesi, di famiglia ebrea praticante, ha girato il mondo fino alle isole greche, ha amato molte donne intessendo storie dense di passioni e di profonde solitudini, ha fatto esperienza di in un uso continuo di droghe, ma non ha mai perso di vista quella luce oltre la crepa, inseguendo la pienezza di un rapporto con Qualcosa, Qualcuno che lo oltrepassasse, fosse Javhè, Buddha o il Dio cristiano.
Come se sentisse vicina la fine della vita terrena (arriverà nel 2016) dal 2012 produce ben tre lavori discografici che sono considerati il suo testamento spirituale.
"Born in chains" è contenuta nell'album del 2014 "Popular problems":

"In 'Born in chains', Leonard cede all'imperfettibilità umana, alza le mani e si arrende a una volontà superiore. Il contatto concreto con tante brutture gli aveva creato una tale repulsione nei confronti della sfacciataggine del potere da indurlo a un altro disperato tentativo di porre rimedio a qualche torto.
Cohen (...) sembra rendersi conto che qualsiasi sforzo di cambiare le cose è vano: e così ancora una volta si ritira nel personale, nella sua intima ricerca di spiritualità, arrendendosi all'imperscrutabilità del disegno divino."
Così introduce il brano Roberto Castelli nel suo bel volume "Leonard Cohen. Quasi come un blues" (Ed. Hoepli, 2021)

Insomma Leonard Cohen come un moderno Giobbe:

NATO IN CATENE

"Sono nato in catene
ma mi portarono fuori dall'Egitto.
Ero legato a un peso
Mail peso fu sollevato.
Signore non posso più
trattenere questo segreto.
Benedetto sia il Nome
Il Nome sia lodato.
(...)
Parola delle Parole
e Misura di tutte le Misure
Benedetto sia il Nome
Il nome sia Benedetto
scritto nel mio cuore
in lettere di fuoco
E' tutto quel che so
non riesco a leggere il resto"

"Born in chains" è un cantilenante blues dove l'immancabile coro femminile indica la melodia e fa da contrappeso alla profonda e orante voce dell'anziano poeta.




Anno 2016: Giobbe /Cohen pubblica l'album che sarà il suo ultimo prima di morire poco tempo dopo.
Ormai si muove solo sulla sedia a rotelle aggredito da forti dolori alla schiena e da un quadro generale di salute ormai compromesso, ma con l'aiuto di suo figlio Pat, riesce a raccogliere i molti appunti sparsi sulla sua scrivania e a tramutarli in canzoni.
Il cd apre con il brano che dà il titolo a tutto il lavoro: "You want it darker":

"Ancora una volta, il vecchio Leonard accetta quel che non può capire confidando nell'imperscrutabilità del mistero divino. 'Se tu dai le carte, io non starò al gioco', ma poi - nonostante ribadisca 'un milione di candele accese per un aiuto mai giunto - decide di sottomettersi al volere celeste: 'Se tu vuoi più buio noi spegniamo la fiamma, dove il termine 'buio' andrebbe forse inteso come il 'lato oscuro', cioè quello incomprensibile del procedere di Dio.
Un atto di obbedienza cieca che si manifesta anche nel suo 'Hineni hineni, i'm ready my Lord' cioè 'Eccomi, sono pronto Signore'.
L'uso dei termini ebraici dà più forza al suo atto di sottomissione e il termine 'hineni' ripetuto due volte vuole rimarcare la sua presenza sia fisica che spirituale e rappresenta uno dei concetti più profondi dell'ebraismo.
Per la canzone recupera addirittura il coro della sinagoga Shaar Hashomaym di Montreal, lo stesso che ascoltava da bambino quando si recava alla funzione"

E' ancora Roberto Castelli che ci guida e ci introduce al brano.
Il vecchio Cohen che vede avvicinarsi la morte ritorna pienamente alla casa dei suoi genitori e alla sua origine religiosa. E' stato un viaggiatore sempre alla ricerca di quella luce che squarcia le nostre crepe, il nostro limite fatto di errori e peccati.
Come dice don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nell'incontro su Giobbe, già citato, organizzato dal Meeting di Rimini nel 2018:
"Il dolore è una sfida alla ragione e alla libertà in un modo strepitoso, e che qui si gioca tutta la capacità che ha l'uomo di stare davanti alla totalità della realtà che, senza censurare un aspetto o un altro, lo apre a questa positività ultima che nessun dolore può cancellare.
E questo è già l'inizio di una risposta che sta ancora per svelarsi nella sua pienezza."

"Hineni, hineni, sono pronto mio Signore




"La stanza di Elvis" ha raccontato il percorso artistico e umano di Leonard Cohen attraverso altre sue composizioni:
"Bird on the wire", "Show me the place", "Halleluya", "Anthem", "You got me singing" 

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