Modena - Antonello Venditti

"Anche noi compagni ci siamo rotti le palle dei dirigenti cialtroni, della attività politica come missione, dell'ideologia del sacrificio (non siamo, insomma, dei nostalgici bolscevichi) e proprio per questo non vogliamo che rientrino dalla porta quelle cose che abbiamo buttato giù a calci dalla finestra.
E' giusto riaffermare il diritto alla propria fantasia, alla propria gioia, ma dobbiamo renderci conto che non basta, perché i moduli borghesi che abbiamo introiettato sono così resistenti che solo attraverso un processo lungo e difficile potremo liberarcene.
Noi non vogliamo, cioè, che il Movimento rinasca su nuove false coscienze (...)
Troppi si dimenticano che essere comunisti significa un confronto continuo, a volte anche angoscioso, con la realtà, significa ritrovare la dura coerenza della scienza delle cose."

Queste parole sono tratte da un documento del collettivo "La scimmia d'oro" (anno 1977), anno fondamentale per la contestazione studentesca, iniziata nel '68 nel tripudio di nuove utopie, testimone di una deriva violenta, che in quegli anni si sviluppò nella creazione di formazioni terroristiche.
Ma proprio in quel tempo, come scrive Luigi Amicone nel suo libro - reportage "Nel nome del niente. Dal '68 all'80, ovvero come si uccide una speranza" (Bur Rizzoli, 1982) "a testimonianza della confusione e delle contraddizioni, ma anche di un diffuso bisogno di freschezza e di spontaneità che circolano in questo periodo fra gli studenti" escono documenti prodotti dal "Movimento" che certificano un bisogno più grande di felicità, che non sia la mera obbedienza ai dettami del Partito.

Forse è quella posizione umana che intercetterà, molti anni dopo, nel 2021 pandemico don Julian Carron, presidente  della Fraternità di Comunione e Liberazione, che nel suo libro "C'è speranza? Il fascino della scoperta" (Editrice Nuovo Mondo, 2021) afferma:
"A nessuno è risparmiata la realtà, con tutto quello che comporta.
Non è risparmiata a chi non ha fede, così come non è risparmiata a chi la fede ce l'ha.
L'esperienza del vivere quotidiano e le cronache ce lo mostrano senza sosta."

"Modena è canzone fragile e commovente, metafora di una grande stagione, il Partito Comunista e le feste dell'Unità, un rapporto mai facile per un Venditti che scalpitava verso una libertà personale e una ideologia che invece metteva i lucchetti"
Così introduce il brano Paolo Vites, nel libretto allegato alla collana di cd "Venditti 40" edita nel 2014 dal settimanale "TV Sorrisi e Canzoni".
E Venditti conferma:
"Modena è un addio alle armi: era tramontata l'Italia della rivoluzione culturale.
Per me è la canzone più bella dell'album"

Si tratta dell'album "Buona Domenica" pubblicato dal cantautore romano nel 1979.
Un lavoro discografico che confermava la svolta più "popular", un anno dopo "Sotto il segno dei pesci", dove la tensione "movimentista" che caratterizzava la produzione dei primi anni settanta veniva in qualche modo affiancata da riflessioni sempre più personali che anticipavano il fenomeno generazionale del "riflusso" che egemonizzerà culturalmente buona parte degli anni ottanta.

"Ma cos'è questa nuova paura che ho
Ma cos'è questa voglia di uscire e andare via
Ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana
Sarà forse tenerezza o un dubbio che rimane?" 

Intervistato dal cronista musicale Walter Gatti nel libro "La lunga storia del rock" (ed. Lindau, 2012), Venditti si confessa:
"Lo stato di grazia è una forma della concentrazione e corrisponde a quando tu stai dentro a quello che dici, le parole le gusti e rivivi tutto. E quasi vengono le lacrime agli occhi.
Diciamo che in certi momenti canti le tue canzoni, ma non entri nel meccanismo e nella storia che ti hanno permesso di scriverle.
Le cose cambiano quando cominci a entrare nella profondità di una canzone.
La differenza la fai quando non hai paura, la sofferenza che diventa gioia non è solo voce e canto, ma è storia, biografia, rabbia, speranza."

E nelle canzoni di Venditti il racconto della sua vita è un libro aperto; racconti e confessioni intime spiattellate davanti al suo pubblico con irruenza e struggimento.
Nella versione originale di studio in "Modena" la marcia in più è la partecipazione graffiante del lancinante suono del sax di Gato Barbieri, grande jazzista argentino, fortemente voluto da Antonello, per rappresentare "carnalmente" i suoi pensieri, in un modo che solo il sax lascia intendere. 
Qui, in questa stanza, si offre una versione live del 2015: preferita perchè adeguatamente "sentita", dove le parole non affogano negli arrangiamenti un pò ridondanti degli anni 70.     




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