Pride (In the name of love) / MLK - U2

"Dio ha creato molte cose a partire dall'oppressione. Ha dotato le sue creature della capacità di creare e da questa capacità sono scaturiti i dolci canti di dolore e di gioia che hanno permesso all'uomo di affrontare il suo ambiente (...)
Il jazz parla per la vita. Il blues racconta la storia delle difficoltà della vita (...)
Gran parte del potere del nostro 'Freedom Movement deriva da questa musica. Ci ha rafforzato con i suoi ritmi dolci quando il coraggio cominciava a venire meno. (...)
Tutti hanno il blues. Tutti hanno bisogno d'amare ed essere amati. Tutti desiderano la fede."
Nel suo lungo articolo pubblicato su "Il Foglio" del 16 Marzo 2024 dal titolo "Con il Jazz contro il muro", Marco Bardazzi (anni di professione giornalistica all' ANSA in America) racconta di Martin Luther King e della sua visita nella Berlino del 1964, già da qualche anno ferita dal Muro, costruito dal regime comunista sovietico, che divideva tragicamente le famiglie e oltraggiava il tessuto sociale.
Durante quella visita, il leader dei diritti civili degli afroamericani, varcò in modo avventuroso quel confine di mattoni e filo spinato e riuscì a pronunciare un sermone in una affollatissima chiesa protestante, invitando l'assemblea presente ad affidarsi e credere che "l'amore cristiano supererà tutte le barriere costruite dall'uomo"
Proprio in quell'anno King verrà insignito del Nobel per la Pace in nome della sua lotta politica contro l discriminazione della popolazione nera in America.
Ma quel messaggio, scritto sessant'anni fa del Reverendo, dedicato ai partecipanti al Berliner Jazz Festival, del quale abbiamo letto le parole più importanti, svelava come il jazz e il blues, impastati della storia del popolo africano schiavo in terra americana, fossero un anelito di libertà, ispirati dalla fede cristiana, una libertà ancora non compiuta nel novecento moderno.
Scrive ancora Bardazzi: "Per il jazz (e il blues n.d.r.) fu un momento di consacrazione geopolitica, dopo decenni in cui l'impegno civile contro la segregazione."
E le testimonianze musicali di Thelonious Monk, Louis Armstrong, Charles Mingus, John Coltrane, Nina Simone e tanti altri artisti erano lì a confermarlo: infatti "tutti amano il blues, tutti hanno bisogno di essere amati."

Esattamente vent'anni dopo, nel 1984, queste parole risuoneranno, quando un gruppo punk rock di giovani musicisti irlandesi, già da qualche anno alla ribalta del panorama musicale, diedero alle alle stampe tra settembre e ottobre il brano e il relativo album che li lanceranno definitivamente nell'olimpo dei fenomeni del nuovo rock.
Gli U2, capitanati dalla carismatica voce del front man Bono Vox (al secolo Paul David Hewson) invadono le radio con le note di Pride (In the name of love), canzone pilota dell'album "The unforgettable fire", ancora oggi un inno da cantare a squarciagola tra i fans nei concerti della band.
Un classico, non solo del quartetto irlandese, ma di tutto il repertorio rock del '900.
"Venivamo dall'Irlanda, sapevamo cos'erano le bombe e gli omicidi. Mi sentivo vicino alla filosofia di King. Lui non era un pacifista passivo, bensì un militante. Combatteva in prima linea e il suo modo di intendere la religione era legato alla giustizia sociale (...)
Le sue parole hanno cambiato il modo di vedere le cose e mi chiedevo: cosa sarebbe successo se un uomo come King fosse vissuto a Belfast negli anni '80? Cosa sarebbe oggi l'Irlanda?"

E' ancora Bono che fa un parallelismo tra il desiderio della coabitazione sociale della gente afroamericana impersonata da King con il dramma religioso e politico che ha attraversato le vicende irlandesi: "Gli irlandesi, come i neri, si sentono degli estranei, ma suppongo che questa sia la vera essenza dell'arte: la ricerca di una identità".
Per gli esordienti U2 questo era già chiaro: infatti è loro l'altro inno rock precedente a Pride, quella Sunday Bloody Sunday, scritta in memoria di una battaglia tra esercito inglese e pacifisti indipendentisti, sfociata per le vie della cittadina di Derry, in Irlanda del Nord, il 30 Gennaio 1972.
Insieme al diciassettenne Gerald Donaghy, altre tredici manifestanti vennero falciati e rimasero sul terreno.
Per gli U2, metà cattolici e metà protestanti, potrebbe essere un occasione (una delle tante nella guerra civile infinita nel nord d'Irlanda) per appoggiare la svolta terroristica dell' IRA, invece, forti dell'ispirazione del dettato evangelico, cantano la storia bagnata del sangue fratricida nel ritmo elettrico del rock e della misericordia intrisa di pietà cristiana, affrancata e non strumentalizzata dalle violenza del potere delle armi.
Ed ecco, quindi, l'incontro ideale tra Bono e Martin Luther King: rock, jazz, blues, nell'abbraccio "in the name of love", in nome dell'Amore:
"Un uomo venuto in nome dell'amore
Un uomo venuto per rendere  giustizia
Un uomo per la rivoluzione
Nel nome dell'amore
Cos'altro? Nel nome dell'amore"

Nello stesso album, Bono e i suoi compagni di viaggio non lasciano ma raddoppiano: infatti concludono il loro lavoro discografico con un'altra canzone dedicata a Martin Luther King e il titolo sono praticamente le iniziali del suo nome, MLK.
Al contrario dell'esplosivo ritornello slogan di "Pride", costruito sulla voce potente di Bono sostenuta da quella macchina ritmica composta dai riff chitarristici di David "The Edge" Evans, dalla batteria pulsante di Larry Mullen jr e dal basso sincopato di Adam Clayton, MLK è un gospel intimo, solo voce e un delicato tappeto sonoro realizzato dall'ingegnere del suono e produttore dello stesso album, Daniel Lanois.
Parla Bono: "Le parole di Dylan mi avevano fatto scattare qualcosa. Ricordavo che nelle Scritture si parla della voce del sangue che grida dalla terra e con il canto di MLK volevo riuscire a trasmettere questo: la voce del sangue che grida. Non grida vendetta, però, ma comprensione."

"Dormi, dormi stanotte
E che i tuoi sogni si possano avverare
Se la nuvola del tuono darà pioggia
Lascia che sia pioggia, lascia che cada su di lui
E così sia (...)"
E' un verso della canzone che nella poetica di Bono richiama al libro della Genesi: il dialogo tra Dio e Caino dopo l'uccisione di Abele, immaginando la richiesta di pietà e comprensione da parte del sangue del Reverendo dall'Aldilà alla Terra.

Sono passati quarant'anni esatti dalla pubblicazione di Pride e MLK, gli U2 sono ancora sugli scudi.
Nonostante siano miliardari tra incassi di tournée e dischi, non hanno perso l'afflato della denuncia sui diritti civili inapplicati e sulle guerre sparse su questo martoriato pianeta: dall'impegno negli anni '90 per la riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo, alla lotta contro la fame e la povertà e più recentemente con la solidarietà all'Ucraina invasa (chi non ricorda il mini concerto di Bono e The Edge nella metropolitana di Kijv ridotta a rifugio per la popolazione minacciata dalle bombe putiniane?), fino alla loro voce alzatasi contro il progrom di Hamas il 7 Ottobre 2023.
Certo non si sta parlando del processo per la beatificazione per la band irlandese, ma è sempre positivo, che ognuno nel suo ruolo pubblico, in questo caso quello di rock star globali, ci metta la propria faccia e la propria musica per richiamare la sterminata platea di fans, nell'attenzione alle grandi questioni che toccano direttamente la vita quotidiana in altalena perenne tra pace e guerra.

(Questa "stanza" in forma di articolo è stata pubblicata sul sito informativo www.ilsussidiario.net il 20/03/2024)






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