Somebody to love - The Queen

"Il titolo del Meeting , 'Il coraggio di dire io', ripropone una frase dei 'Diari' di Soren Kierkegaard scritta nel 1849, che vogliamo comprendere nel suo contesto originale.
Kierkegaard s'interrogava circa la comunicazione della verità.
Capiva che la prima condizione per la comunicazione del vero è la persona che la pronuncia. (...)
Esige una persona che si gioca nel comunicare l'avvenuta comprensione di quella verità.
Ecco subito un primo significato del valore dell' 'io'. (...)
L' 'io' che a fine '800 appariva in Europa come l'erede orgoglioso di una nuova genealogia di scienza, tecnica e cultura, esaltato in senso assoluto come soggetto che non accetta limiti, cade a fine '900 in depressione. (...)

Il film 'Bohemiam Rapsody' del 2019 ha ridato attualità alle canzoni dei Queen della fine degli anni '80 (...) alcune di esse esaltano un 'io' che ancora si vuole assoluto, che non sopporta limiti di tempo e spazio, né regge il confronto con qualsiasi dato che possa fare d'argine alla propria autodeterminazione.
Alcuni titoli famosi allora risuonano con il film: 'I want to break free', 'Who wants to live forever', 'I want it all (and i want it now)', 'Don't stop me now'.
Basta risentire queste canzoni, per riconoscere un io che si afferma con una pretesa sconfinata. (...)
Insieme a questo io che si vanta, sicuro della propria forza ('We are the Champions'), appare oggi anche un io che non sa bene chi è, né se vale la pena di esserci.
Si tratta del rovescio della medaglia che rivela la fatica, la complessità di qualcosa di così misterioso come l'autocoscienza libera, quando uno qualsiasi di noi dice 'io'. (...)
Forse rimane (...) la pretesa di essere padroni di sé stessi nella disperazione (...)
Nel muro della pretesa si è aperta una crepa, un'insoddisfazione, una malinconia (...) e magari qualche forma di domanda o di supplica (gli stessi Queen ripetono in modo quasi ossessivo 'Find me somebody to love'). (...)

Riassumendo, possiamo riconoscere un individualismo esasperato, che si pretende trionfante (certi temi dei Queen) o sull'orlo del vuoto (la serie tv 'Euphoria') o semplicemente stordito (il film premio Oscar 'Nomadland'): un individualismo in solitudine, incapace di legami stabili, di appartenere a qualcuno e di generare un bene duraturo per sé e per gli altri."

Naturalmente, qui, si è costretti a cogliere solo alcuni limitatissimi spunti del complesso e approfondito intervento di Javier Prades Lòpez, sacerdote della Diocesi di Madrid, rettore della Università Ecclesiastica "San Damaso" e professore ordinario di Teologìa dogmatica, che è stato invitato a Rimini, nell'agosto 2021, a scavare il senso 'esistenziale' del titolo dell'annuale "Meeting per l'amicizia tra i popoli": "Il coraggio di dire 'io'"

Tra le varie citazioni di prodotti della cultura popolare attuale che in qualche maniera si confrontano con il tema proposto, quelle sui Queen, ci sembrano molto interessanti e provocanti.
Come più volte è accaduto in queste "Stanze", si è voluto confrontare alcune riflessioni sulla condizione umana, fatte da importanti personaggi della filosofia, della letteratura e della educazione cristiana, rispetto a quel fenomeno epocale che nella storia della musica popolare del '900 è stato il rock, con tutte le ricadute sui costumi e sulla cultura delle generazioni che ne hanno visto la nascita e il suo affermarsi anche in modo invasivo nella vita quotidiana.

Come i più sensibili e attenti esperti e narratori del mondo musicale confermano, il rock è l'emergere di una domanda, un grido di aiuto, che i più grandi interpreti lanciano alla ricerca di una risposta, nel secolo dove l'"io", come afferma Prades, "cade in depressione".
Non c'è risposta nel rock, c'è una grande, (a volte disperata, a volte tenacemente aggrappata al desiderio ultimo di redenzione), domanda di senso, veicolata, comunicata attraverso la grande rivoluzione del canone compositivo, interpretativo e di "confezione".

"Abbiamo scritto e interpretato tante canzoni dal testo forte e ricco.
L'urgenza di essere amato di 'Somebody to love' esprime fortissimamente la sensibilità di Freddie, ma anche la necessità di tutti di non essere soli. (...)
'We are the Champions' non rappresenta più né me, né altri. Sono grandi canzoni e le suonerò ancora, ma la vita le deve superare: non è mai il passato che può rappresentarti.
Ciò che abbiamo fatto appartiene alla vita pubblica, alla cultura della gente, dei giovani di tutto il mondo."
Così si esprimeva, a poco più di un anno dalla morte di Freddie Mercury, il chitarrista dei Queen, Brian May, sulle pagine del settimanale "Il Sabato", rispondendo alle domande del giornalista Walter Gatti.

"Somebody to love" del 1976, è uno dei brani più famosi della band inglese.
Interamente scritta da Mercury, è un pezzo gospel, influenzato dalle interpretazioni di Aretha Franklin.
Viene proposta una versione live, tra le migliori, tratta da "Live at the Bowl".
Appassionata e "sporca", da apprezzare, rispetto alla versione in studio, condizionata dal marchio di fabbrica delle sovrapposizioni vocali, tecnologicamente pulite ma, forse, un pò asettiche.
E il finale "find me somebody to love", ripetutamente cantato, è veramente "il grido del rock".

QUALCUNO DA  AMARE

"Chi può trovarmi qualcuno da amare?
Ogni mattina mi alzo e muoio un pò
A stento mi reggo in piedi
Mi guardo allo specchio e piango.
Signore che mi stai facendo?
Ho passato tutti i miei giorni a credere in Te
(...)
Lavoro duro ogni giorno della mia vita
lavoro fino a che le ossa mi fanno male.
Porto a casa la mia paga guadagnata duramente
tutta da solo.
Mi inginocchio e comincio a pregare
finché non mi sgorgano le lacrime dagli occhi.
(...)
Oh Signore
qualcuno da amare

Trovarmi qualcuno da amare.
Trovarmi qualcuno da amare
Oh, trovatemi
trovatemi
trovatemi!





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